Mette a repentaglio l’esistenza stessa dell’Unione Europea

L’Unione Europea, sin dalla sua originaria forma di comunità economica, ha come obiettivo fondante la pace e l’aumento della giustizia. È quanto dichiarano i Trattati. È la motivazione con cui, nel dopoguerra, l’Italia poté aderire al progetto compatibilmente con la Costituzione, che all’articolo 11 “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Una previsione pensata per consentire all’Italia l’adesione all’ONU, ma poi utilizzata per giustificare un’adesione (alla Comunità e poi all’Unione Europea) che riduce ben di più la sovranità nazionale. Con l’accelerazione del processo di unificazione che culmina con il Trattato di Maastricht, i suoi promotori sono subito consapevoli che questo processo tende in prima istanza a favorire i territori e le persone con migliori condizioni di partenza e dunque ad aprire faglie territoriali di disuguaglianza e si preoccupano di costruire i mezzi per evitarlo e per convincere tutti i cittadini che “l’Unione conviene”. Da allora, Trattati e Strategie dell’Unione Europea hanno ripetutamente ribadito che il trasferimento di poteri da parte degli Stati Membri sarebbe stato accompagnato da un impegno crescente ad assicurare in tutti i luoghi crescita di produttività e diritti sociali fondamentali, e che questo sarebbe stato il compito, del “coordinamento aperto” delle politiche nazionali, della tutela giudiziale e della politica di coesione.

 

Eppure, nonostante ciò e proprio come si era temuto, negli ultimi venti anni le disuguaglianze, soprattutto territoriali, sono fortemente cresciute e l’idea che la “cittadinanza europea” prevista dall’Unione consentisse nuovi diritti, e una riduzione dell’esclusione sociale si è andata spegnendo nella percezione dei cittadini dell’Unione. La reazione dell’Unione alla crisi del 2008, conducendo al taglio delle spese pubbliche per investimenti, istruzione e cura delle persone ha confermato questo giudizio dei cittadini, fino a individuare nell’Unione Europea la causa, non la soluzione, delle proprie disuguaglianze (cfr. ad esempio, in merito all’esito delle elezioni europee del 2014, Oliver Treib, The voters say no but nobody listens, Journal of European Public Policy, 2014).

 

Di recente, proprio il montare di una dinamica autoritaria, il risultato del Referendum inglese, il voto crescente ai partiti anti-Europei hanno spinto la classe dirigente dell’Unione a riaprire la strada verso un Europa sociale interrotta da tempo. Ed è stato approvato un documento di principi: lo European Pillar of Social Rights. Ma non basta più enunciare diritti se non sono messe risorse finanziarie e politiche a disposizione per assicurarli. Anche il l’incipiente negoziato europeo sul Bilancio post-2020 e segnatamente sulla politica di coesione è un’occasione concreta per verificare le intenzioni di una svolta.

 

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