Disuguaglianze di riconoscimento

Per disuguaglianze di riconoscimento si intendono disuguaglianze nella misura in cui il ruolo, i valori e le aspirazioni della persona sono riconosciuti da parte della collettività e della cultura generale (per la teoria del riconoscimento, si vedano le analisi di Axel Honneth, nella scia di Jurgen Habermas). Due esempi. Un operaio di un’impresa meccanica italiana che esporta e che, con molte altre, regge la competizione internazionale e permette al paese di pagarsi le importazioni di materie prime, non vede oggi riconosciuto questo suo ruolo (le sue sfide, le sue soddisfazioni, le sue fatiche, i suoi risultati), vista l’assenza del “lavoro manifatturiero” dal confronto culturale e politico prevalente, dalla rappresentazione positiva del paese – se ne parla solo quando le aziende sono in crisi o per evocare scenari apocalittici di fabbriche senza lavoro (sospesi fra approvazione incondizionata dell’automazione e luddismo). Un giovane, studente o lavoratore agricolo o disoccupato, di un’area rurale con paesaggi, qualità potenziale di vita e studio e opportunità agro-silvo-pastorali e turistiche elevate (quasi un terzo del territorio nazionale) non vede oggi riconosciuti il proprio ruolo e i propri valori se non come un residuo nostalgico del “passato comunitario” che possa intrattenere (amenity) i cittadini delle città ai quali appartiene il “futuro cosmopolita”.

 

In entrambi i casi, la disuguaglianza di riconoscimento (rispetto agli “altri”) tende anche a tradursi in disuguaglianzeeconomiche e/o sociali, perché dal mancato riconoscimento derivano scarso potere negoziale e scarsa considerazione nel disegno delle politiche. Ma le disuguaglianze di riconoscimento pesano di per sé perché mortificano la dignità delle persone e creano senso di esclusione. Le disuguaglianze di riconoscimento divengono così una leva importante di paura, risentimento e rabbia e della dinamica autoritaria.

 

Le disuguaglianze di riconoscimento hanno una forte dimensione territoriale. Assai spesso chi vive nelle periferie, come in aree rurali interne o in centri urbani minori avverte di vivere in luoghi senza una prospettiva, lontani dai flussi di innovazione e dai centri di decisione. Quasi “non-luoghi”. Non a caso è in questi luoghi che più forte si sta manifestando la deriva autoritaria.

 

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