Dinamica autoritaria

Per “dinamica autoritaria” intendiamo, muovendo dalla definizione di Karen Stenner (The Authoritarian Dynamic, CUP, 2005), un insieme di atteggiamenti e comportamenti così riassumibile: intolleranza per la diversità; sfiducia in istituzioni ed esperti; desiderio di comunità chiuse; domanda di poteri forti capaci di vietare e sanzionare.  Questi tratti autoritari, chiaramente distinti e anzi in contrasto, come analizza Stenner, rispetto a posizioni conservatrici o di neo-liberismo economico, descrivono in modo preciso la reazione in atto in ampie masse popolari di tutto l’Occidente.

 

Secondo Stenner – che su queste basi l’aveva prevista sin dal 2005 – la dinamica autoritaria andrebbe ricondotta all’insieme di “minacce normative” che sono andate crescendo in Occidente: la sperimentazione e/o la percezione di non-rispetto per le autorità o l’essere le autorità immeritevoli di rispetto; la mancata adesione alle norme della comunità o la loro discutibilità; il venir meno di consenso sui valori e convincimenti della comunità; lo scatenamento della diversità (con globalizzazione e cosmopolitismo). Si tratta di fenomeni strettamente legati alle disuguaglianze di riconoscimento e in genere al crescere delle disuguaglianze: la concentrazione della dinamica autoritaria nelle periferie urbane ne nelle aree rurali, dove si concentrano le disuguaglianze , è indizio forte di questa connessione causale. Secondo Stenner, l’insieme di questi fenomeni avrebbe effetti diversi sulle persone a seconda della loro individuale predisposizione. Nei soggetti per predisposizione squilibrati a favore dell’“autorità di gruppo” rispetto all’“autonomia individuale” e all’“uniformità” rispetto alla “diversità”, queste minacce spingerebbero verso comportamenti di intolleranza politica, razziale morale e verso la richiesta di autorità forti, che ristabiliscano norme di gruppo e la conformità a esse. Questa è la reazione che oggi prevale e che si manifesta nella dinamica autoritaria.

 

Da un punto di vista sociale e politico, la prevalenza della dinamica autoritaria segnala che i soggetti messi a repentaglio dal cambiamento – ultimi, penultimi e vulnerabili– sono rimasti divisi e dunque (nel senso di Antonio Gramsci) subalterni: incapaci di costruire una visione condivisa fondata su una diagnosi del cambiamento avvenuto e di tradurre i loro sentimenti spontanei di ribellione in una direzione consapevole di avanzamento sociale.

 

È utile infine notare che , nel descrivere la reazione anti-istituzionale, di intolleranza e di domanda di poteri forti oggi in atto, il Forum non usa il termine “populismo”. Al di là dell’uso che se ne è fatto in Europa – fino a diventare sinonimo di “democrazia illiberale” o di fascismo – il termine “populismo” conserva, infatti, la matrice originaria che acquisì negli Stati Uniti da fine ‘800. Accanto al ribellismo contadino, esso equivalse alla difesa degli interessi del lavoro, a un forte contrasto della concentrazione della ricchezza e alla democratizzazione dello Stato federale. L’assenza di un’analisi del capitalismo condusse il movimento populista a produrre quasi ogni cosa: quadri dirigenti di sinistra e di destra e persino antisemitismo. Ma il suo revival con la grande crisi del 1929 partorì soprattutto la durissima indagine sulle banche di affari della Commissione Pecora del Senato USA che pose le basi per la separazione (nel 1933, con Roosevelt) fra banca d’affari e commerciale e per la creazione della Securities and Exchange Commission, due grandi leve della politica a cui dobbiamo la riduzione delle disuguaglianze nel dopoguerra.

 

Siamo pronti a ricevere e discutere con voi revisioni e integrazioni. Scriveteci a wiki@forumdd.org.