L’intervento di Marco Lombardo all’evento in streaming “Disuguaglianze nell’epoca delle crisi. Un anno di vita e più utili che mai: le nostre 15 proposte” (25 marzo 2020).
In pochi minuti provo a riassumere che cosa stiamo facendo noi partendo dal minuto di silenzio. Perché io penso che prima di raccontare i numeri del contagio c’è bisogno di dare identità a queste storie e quindi la prima cosa che voglio dirvi è che oggi il sindaco di Bologna, Virginio Merola, insieme al cardinale don Matteo Zuppi hanno proclamato per il 27 marzo alle 12 un minuto di silenzio per celebrare un funerale collettivo. Non solo per le persone che sono decedute in seguito al coronavirus, ma anche tutte le persone che non hanno potuto svolgere le onoranze funebri, non hanno potuto abbracciare i loro cari perché secondo me dobbiamo ripartire dall’idea che oltre ai numeri dei contagi ci sono le persone.
Detto questo, poi, come fare ad affrontare il tema dall’emergenza sanitaria a quella economica e sociale; io penso che l’impreparazione del sistema produttivo e del sistema del lavoro sia riassunta nell’idea dell’Italia non si ferma, che all’indomani del contagio un po’ aveva contagiato tutti. Ecco, secondo me è stato un messaggio drammaticamente sbagliato, perché prima ci fermiamo e prima ripartiamo. Lo dico anche da assessore alle attività produttive sapendo perfettamente quant’è forte l’impatto economico e quanto può riverberarsi nel piano occupazionale. Ma se vogliamo ripartire dobbiamo fermare le attività, in particolare le attività economiche non essenziali, e dall’altra parte mettere in sicurezza le persone che lavorano.
Ad oggi non abbiamo ancora dispositivi di protezione individuale per i lavoratori. Noi come comuni ci siamo messi ad organizzare la riconversione produttiva di tante attività; penso soprattutto al tessile che ha dato grande disponibilità per dare dispositivi di protezione individuale. E poi bisogna occuparsi degli anelli più deboli della catena. Lo diceva prima Elly Schlein, quali sono le categorie che in questo momento non possono magari fare la spesa e che non possono attivare la consegna a domicilio che viene fatta da qui a due settimane. Noi abbiamo fatto un accordo con la grande distribuzione affinché il comune, i servizi sociali del comune, insieme alle associazioni del terzo settore possano dare una sorta di cassa prioritaria per far avere la spesa a domicilio per le persone anziane, over 75, che sono dentro un piano che si chiama MAIS, le persone immunodepresse, cioè quelle che stanno facendo magari terapie e quindi hanno basse le difese immunitarie e le persone disabili.
E oggi questa stessa idea della cassa prioritaria si estende anche al personale medico sanitario, ai medici, agli infermieri, a coloro che guidano i mezzi del pronto soccorso che evidentemente non possono fare la fila seguendo un distanziamento come facciamo noi cittadini. E poi abbiamo ripensato al tema dell’accessibilità. Noi avevamo candidato il comune di Bologna al premio europeo della città accessibile, ma abbiamo deciso di rimodulare il tema secondo le esigenze. Quindi per esempio garantire la traduzione nella lingua dei segni delle ordinanze che noi stessi diamo e questa sarebbe una buona pratica di tutti coloro che hanno responsabilità di governo; abbiamo immaginato un aggregatore di programmi culturali, si chiama BAC, ed è fatto dall’agenda digitale e dal settore cultura di Bologna, per cui si aggregano tutti i servizi digitali in modo che in qualche modo anche le persone non stiano semplicemente davanti alla televisione. E quindi ci sono associazioni che riguardano programmi per bambini, piuttosto che il teatro comunale che il sabato sera manda in onda in streaming alcune delle sue produzioni.
Abbiamo dato dispositivi di sicurezza ai riders perché è assurdo non mettere in condizioni di sicurezza chi lavora nel sistema di consegna e di delivery, e questo era uno degli impegni che c’eravamo presi come comune nell’alleanza con il Forum Disuguaglianze Diversità. Stiamo dando noi le mascherine protettive ai riders perché possano non essere loro stessi veicoli di contagio, così come le stiamo dando ad alcune associazioni del terzo settore o ai lavoratori per esempio del carcere o dei luoghi in cui in qualche modo l’assembramento è responsabilità dello stato stesso.
Per concludere, l’obiettivo è quello di uscirne più forti, ma uscirne più giusti. Io penso che l’obiettivo comune sia quello di trasformare i confini che noi abbiamo in nuovi orizzonti, cambiando radicalmente alcuni paradigmi produttivi. Non ci sarà una ripartenza; ci sarà un prima e un dopo rispetto a questo tipo di attività ed è bene che rimaniamo preparati anche nell’idea di uscirne il prima possibile ma anche l’idea di esserne preparati nel caso in cui dovesse succedere nuovamente anche in futuro.