L’intervento di Raffaella Palladino all’evento in streaming “Disuguaglianze nell’epoca delle crisi. Un anno di vita e più utili che mai: le nostre 15 proposte” (25 marzo 2020).
Provo a dare un mio sintetico contributo partendo da due osservazioni:
1) la prima su cosa stiamo facendo come organizzazioni femministe che lavorano per la promozione dei diritti e la tutela delle donne e dei minori in questo momento di crisi;
2) la seconda su come la nostra ottica e la politicità del nostro intervento possano generare nel prossimo futuro modalità diffuse per il contrasto delle disuguaglianze.
I dispositivi posti in campo per l’emergenza sanitaria ci hanno immediatamente preoccupato per la convivenza forzata e prolungata e la conseguente tensione crescente e per la difficoltà per le donne di avere spazi e modi per chiedere aiuto. La casa è il luogo meno sicuro per le donne e per i minori se partiamo dalla consapevolezza della pervasività e trasversalità della violenza maschile. Maggiore segregazione maggiore esposizione alla violenza, maggiore invisibilità e possibilità di chiedere aiuto vicina allo zero. Abbiamo in tante evidenziato il problema di continuare a fornire ascolto accoglienza ed ospitalità anche sull’emergenza conciliando al contempo l’ottemperanza con i decreti straordinari. Ci siamo trovate ad affrontare una serie di criticità dovute al riconoscimento anche formale quali servizi essenziali in assenza di risorse e dispositivi dovuti ai servizi essenziali. Situazione che sappiamo essere del resto generalizzata. Anche tanti operatori sanitari in prima linea nei territori del sud operano senza presidi indispensabili di tutela. Sui tanti problemi connessi alla presenza su turni delle operatrici in casa rifugio e quindi a fonti di contagio possibili per l’andirivieni e la turnazione, allo spostare i colloqui in accoglienza telefonica al di là delle modalità relazionali che sono il principio fondante della nostra metodologia abbiamo attivato un’interlocuzione con le istituzioni.
Ad oggi alcuni provvedimenti sono già stati presi di concerto con il Dipartimento e la ministra per le pari opportunità, quali il rilancio del 1522 e la sollecitazione a chiedere aiuto, le campagne sia istituzionali quale libera puoi che della rete dei centri noi ci siamo. Abbiamo lavorato in tante su alcune proposte che rivolgiamo al Parlamento e al Governo per garantire protezione, sostegno e accoglienza alle donne e ai minori anche in questa difficile situazione che ci vede tutti coinvolti e ci aspettiamo ora innanzitutto una applicazione delle leggi vigenti a partire dagli ordini di allontanamento per gli uomini violenti o meglio gli ordini di protezione sia in sede civile che penale, misure che permettono un intervento tempestivo e urgente a protezione della donna, ancora più importante nell’attuale situazione di emergenza sanitaria.
Lo stanziamento straordinario di fondi; il coordinamento tra forze dell’ordine, 1522 e Centri antiviolenza per un pronto intervento presso l’abitazione della donna; prolungare il congedo straordinario dal lavoro per motivi di violenza e prevedere, durante l’emergenza, un contributo economico per le donne poste in protezione e prive di altre forme di sostegno al reddito. Misure straordinarie per donne migranti.
In questa situazione si rende evidente e su questo mi aggancio alla seconda osservazione il nostro ruolo di agenti di cambiamento e la nostra prassi all’advocacy costante che fa del lavoro sociale in ottica di genere una modalità di intervento politico da seguire e diffondere. Il nostro attivismo civico non è orientato solo ad erogare servizi ma nella concretezza della operatività, non perde mai la dimensione politica, restituisce costantemente una cornice di senso al nostro impegno che non si esaurisce nel sostegno alla singola donna accolta ma è orientato a incidere sulle dinamiche culturali di contesto che generano e riproducono la violenza maschile contro le donne. Ci muove la consapevolezza di agire in una dimensione di complessità ed assumere un’ottica di genere comporta una modalità operativa nella quale ogni passo, ogni agito, ogni spazio relazionale è segnato dalla fatica della decostruzione dell’ordine simbolico dominante, dei saperi ufficiali, delle strutture di pensiero, del linguaggio, dei codici consueti di comportamento, del luogo comune. È in virtù di questa scelta che ogni intervento promosso con un’ottica di genere apre il varco alla possibilità di reinventare modalità nuove di stare al mondo, di abitare la polis, di contrastare le disparità.
Tutto questo non solo perché ogni intervento di chi lavora nei centri antiviolenza è orientato alla più radicale e profonda trasformazione, quella della relazione tra i generi nel senso di un riequilibrio nella distribuzione del potere, ma anche perché il lavoro politico messo in atto riesce a connettere il micro della storia individuale con il macro del contesto comunitario, a rendere simmetrica la relazione tra datore di cura e destinatario della cura, a dimostrare che l’intervento promosso è un servizio a vantaggio di tutti e non solo delle “ultime”.
Per attraversare la crisi in corso e per guardare oltre nella speranza che nulla sarà più disfunzionale come prima, le nostre prassi possono rappresentare un’occasione di resistenza che, riconduce i servizi alla loro funzione principale di intervento sulle difficoltà per “eliminarle”, e, uscendo da ogni collusione con un sistema generatore di disuguaglianze, promuove giustizia sociale e un pensiero alternativo a quello della narrazione dominante.