Dall’incontro a Norwich durante una conferenza internazionale è nata l’idea di creare un gruppo di ricerca permanente sulle disuguaglianze ambientali. Ne fanno parte alcune ricercatrici che vogliono elaborare proposte per la lotta per la giustizia ambientale con una chiara ottica di genere
Lo scorso 17 dicembre 2019 si è svolto il workshop “La Giustizia Ambientale in una prospettiva comparatistica” presso l’Università degli Studi di Milano “La Statale”. L’incontro, avvenuto presso il Dipartimento degli studi internazionali, giuridici e storico-politici, è stato realizzato grazie al sostegno del prof. Pier Filippo Giuggioli. Come meglio descritto nel paragrafo successivo, il tema oggetto di discussione è stato la giustizia ambientale.
Cos’è la giustizia ambientale?
La nozione di giustizia ambientale, che potrebbe essere definita genericamente come lo studio della disuguale distribuzione di benefici ed oneri ambientali, trova le sue radici ed origini alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, dove il termine Environmental Justice è stato usato inizialmente per inquadrare almeno due tipologie (quasi sempre coincidenti) dei cosiddetti movimenti ambientali “dal basso”: i movimenti sorti per contrastare l’inquinamento da rifiuti tossici e i movimenti contro il razzismo ambientale (Heiman, 1996; Mohai & Bryant, 1992; Pulido, 1996; Schlosberg, 2007). Utilizzato inizialmente dagli attivisti di quelle “nuove” forme di mobilitazioni sociali per fornire prove empiriche delle disuguaglianze ambientali, il concetto di giustizia ambientale ha subìto un processo di evoluzione e rinnovamento fino a divenire un paradigma capace non solo della semplice identificazione del problema – ovvero dell’esistenza delle disuguaglianze ambientali – ma anche di proporsi come chiave interpretativa per la risoluzione di questo problema. Oggi il concetto viene utilizzato sempre più frequentemente come paradigma in grado di affrontare diverse questioni, quali: il cambiamento climatico, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la salute e la sicurezza dei lavoratori, i pesticidi, la distribuzione/gestione delle aree verdi e dei parchi pubblici, lo smaltimento dei rifiuti compresi quelli tossici, il riciclo, l’energia, la tutela della fauna, l’ubicazione degli impianti industriali e l’uso delle sostanze tossiche (Pellow, 2002; Taylor, 2000). Già dai primi sviluppi di questo paradigma, era chiaro che il problema redistributivo era strettamente legato a quello del mancato riconoscimento dei gruppi contro i quali venivano commesse tali ingiustizie; a sua volta, il mancato riconoscimento comportava l’esclusione dei gruppi discriminati dalla partecipazione ai processi decisionali: distribuzione, riconoscimento e partecipazione sono le tre dimensioni di giustizia comprese nella nozione di giustizia ambientale (Fraser, 2009; Schlosberg, 2007; Walker, 2012). Esse vengono declinate come disuguaglianza nella distribuzione dei beni ambientali e dei rischi ambientali, come mancato riconoscimento dei gruppi sociali più vulnerabili, e come esclusione dal processo decisionale politico. In questo modo dunque, le ingiustizie ambientali consentono di comprendere, e quindi di racchiudere in un unico termine, le disuguaglianze economiche, sociali, di riconoscimento, di genere e, in ultima analisi, politiche.
Il Workshop e la costituzione di un gruppo permanente di lavoro
L’idea del workshop nasce a Norwich, durante la Conferenza internazionale Transformative Connections on Environmental Justice (EJ) tenutasi all’Università dell’East Anglia a luglio 2019. Grazie alla Conferenza, alcune ricercatrici italiane che condividono l’interesse per la giustizia ambientale decidono di creare un network. L’obiettivo principale è quello di costituire un gruppo di ricerca composto da solo donne per portare avanti il dibattito sulla giustizia ambientale in Italia. Perché solo donne? Il motivo è che le ingiustizie ambientali in Italia hanno maggiori probabilità di manifestarsi in termini di discriminazione di genere (Germani et al., 2014). Pertanto, il gruppo di ricerca è stato creato proprio per dare una risposta di genere all’ingiustizia ambientale. Suddiviso in cinque sessioni, ciascuna coordinata da una ricercatrice diversa per favorire una struttura dialogica e informale, il workshop rappresenta il primo passo in questa direzione.
Il gruppo
La prima sessione dei lavori, introdotta dal prof. Pier Filippo Giuggioli e coordinata da Margherita Brunori, è servita per introdurre le partecipanti (per maggiori informazioni sulle ricercatrici si veda il documento di sintesi realizzato da Margherita Brunori).
- Margherita Brunori (Università Statale di Milano)
Postdoc presso il dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e storico politici
- Lucia Musselli (Università Statale di Milano)
Professoressa associata
- Francesca Rosignoli (Stockholm University)
Postdoc presso il dipartimento di Scienze Politiche
- Sonja Gantioler (Istituto per le energie rinnovabili, Eurac)
Senior Researcher
- Elisa Privitera (Università degli Studi di Catania)
Dottoranda del corso in “Valutazione e mitigazione dei rischi urbani e territoriali”, curricula “Pianificazione e progetto per il territorio e l’ambiente”
- Roberta Biasillo (Royal Institute of Technology, KTH)
Postdoc in Environmental History
- Stefania Benetti (Università degli Studi di Roma, “La Sapienza”)
Dottoranda in geografia economico-politica
- Federica Cittadino (Istituto di studi federali comparati, Eurac)
Senior Researcher
- Chiara Certomà (Scuola Sant’Anna, Pisa)
Assegnista di ricerca, Scuola Superiore Sant’Anna, Ist.DIRPOLIS- Istituto di Management
- Veronica Dini (Systasis – Centro Studi per la prevenzione e la gestione dei conflitti ambientali)
Avvocato
II Sessione
A seguire, la seconda sessione coordinata da Sonja Gantioler, è stata dedicata all’introduzione del concetto di giustizia ambientale nelle sue varie sfumature in una prospettiva interdisciplinare (le slide dell’intervento sono disponibili qui). Tra gli argomenti discussi, si è parlato soprattutto di come le diverse discipline affrontano il tema e il significato della parola giustizia. Uguaglianza? Meritocrazia? Di cosa parliamo quando parliamo di giustizia? La filosofia si divide tra Aristotele, più propenso a considerare il processo che conduce alla giustizia (si parla infatti di giustizia correttiva); e John Rawls, il quale affronta la giustizia nella prospettiva dell’uguaglianza (Justice as Fairness). La fictio iuris del velo di ignoranza consente, seppure con un certo livello di astrazione ed entro certi limiti, di garantire eguali punti di partenza ai membri della società. L’economia si è da sempre rivolta agli aspetti redistributivi della giustizia. Per avere punti di partenza eguali occorre in primo luogo una ripartizione altrettanto equa del reddito e della ricchezza. Questi due aspetti sono stati oggetto di moltissimi studi empirici, anche perché coinvolgono ordini di diseguaglianze facilmente misurabili. La sociologia invece esamina il concetto di giustizia in termini di eguaglianza delle classi e coesione sociale. Il focus è rivolto soprattutto al processo di rivendicazione dei movimenti sociali rispetto alla redistribuzione dei benefici ed oneri ambientali, al riconoscimento, all’accesso equo e senza discriminazioni alle risorse, ai servizi e all’energia, e infine alle lotte per la riparazione del danno ambientale (giustizia correttiva). Si è quindi approfondito il tema delle tre dimensioni della giustizia ambientale (distribuzione, riconoscimento, partecipazione) con un piccolo focus sul concetto di misrecognition. Così come descritto da Nancy Fraser, il non-riconoscimento è stato analizzato nel suo triplice significato di dominazione culturale, confinamento all’invisibilità, e mancanza di rispetto. A non essere riconosciuti, anche nelle questioni ambientali, sono generalmente i gruppi più vulnerabili. Nello spettro della vulnerabilità, attualmente oggetto di studio della giustizia ambientale, sono compresi:
- neri
- minoranze etniche
- indigeni
- bambini
- immigrati
- donne
- disabili
- poveri
- comunità LGBTQ
Una frontiera interessante della giustizia ambientale è rappresentata dalla sua contaminazione con il capability approach, approccio alla giustizia di matrice aristotelica elaborato da Amartya Sen e Martha Nussbaum. Questo ponte di collegamento tra i due filoni di ricerca è stato avviato da David Schlosberg (2007) e fornisce ulteriori strumenti di analisi alla giustizia ambientale per identificare e rimediare i torti subìti dai più vulnerabili. La sessione si è conclusa con un’ampia discussione sul contributo che la geografia e la pianificazione urbana (urban planning) hanno portato nel dibattito sulle ingiustizie ambientali. Seppur con alcune differenze, entrambe le discipline hanno un approccio che potremmo definire forward-looking, volto alla prevenzione delle diseguaglianze a monte più che alla riparazione dei danni a valle. L’architettura del paesaggio, così come la costruzione delle città, influiscono inoltre in modo considerevole nel garantire, nella pianificazione dello spazio, un accesso equo alle risorse, all’energia e ai servizi, compresi quelli ecosistemici. Nuovi sviluppi della giustizia ambientale sono infatti quelli introdotti dalla energy justice, in cui convergono temi quali la just transition e la lotta alla povertà energetica (energy poverty), e dalla just conservation. Stefania Benetti, dottoranda prossima a conseguire il titolo di dottore di ricerca, ha condiviso i risultati della sua ricerca condotta in questo campo di indagine. La conservazione del territorio, servizi ecosistemici inclusi, concorre alla costruzione di un ambiente giusto; e questo non solo per le generazioni contemporanee (intragenerational justice), ma anche per quelle future (intergenerational justice).
III Sessione
La terza sessione ha esaminato le diverse qualificazioni della giustizia ambientale secondo le varie discipline. Tra quelle citate si vedano:
- Climate Justice
- Atmospheric Justice
- Water Justice
- Energy Justice
- Mobility Justice
- Food Justice
- Reproductive Justice
- Gender Justice
- Epistemic Justice
- Just Conservation
- Ecological Justice
- Interspecies Justice
- Spatial Justice
Un’enfasi particolare è stata data al concetto di spazialità all’interno della giustizia ambientale. La coordinatrice, Chiara Certomà, ha avviato una riflessione interessante sull’importanza dell’esternalizzazione dei costi ambientali tra le cause delle ingiustizie ambientali, sull’appropriazione del fair share e sulla centralità degli attori non statali, imprese incluse, nei conflitti ambientali. Nella prospettiva della geografia, soprattutto quella più radicale, la riflessione sul tema comincia con lo scopo di integrare la giustizia sociale in questo campo di indagine, si sposta poi sul concetto di giustizia spaziale (spatial justice), che studia gli elementi che qualificano determinati ambienti in modo specifico, e approda al tema della giustizia ambientale (environmental justice).
IV Sessione
Nella quarta sessione, Federica Cittadino ha guidato la discussione verso l’analisi di alcuni casi di studio di ingiustizia ambientale in Italia. Preziose, in questa sessione, sono state le riflessioni di Elisa Privitera sul caso Gela. Il suo progetto vuole coniugare i big data con gli small data, coinvolgendo attivamente i gruppi più vulnerabili nei processi decisionali. Per small data si allude nello specifico alla raccolta delle cosiddette biografie tossiche (toxic bios): storie di persone colpite da ingiustizie ambientali. La raccolta offre un panorama efficace, sebbene drammatico, delle ingiustizie ambientali presenti sul nostro territorio (per maggiori informazioni si veda il progetto Toxic Bios). Nell’ambito del coinvolgimento della popolazione nei processi decisionali, si domanda Elisa Privitera, è importante chiedersi che ruolo possano avere ricercatrici e università, anche alla luce del dibattito sulla “terza missione”. Ampio spazio è stato inoltre dedicato al tema del conflitto ambientale tramite la condivisione dell’esperienza professionale nella gestione dei conflitti dell’Avvocato Veronica Dini. Conflitto sì, ma perché proprio quello ambientale? Veronica Dini risponde così. Primo, perché intercetta diritti fondamentali che vanno tra di loro bilanciati. Secondo, perché i conflitti ambientali hanno a che fare con le risorse, che sono sostanzialmente esauribili, se non già esaurite. L’esperienza sul campo dell’avvocato ha spostato la discussione dalla Giustizia con la “g” maiuscola (ideale) alla giustizia con la “g” minuscola (terrena, o meglio codificata). Premesso che il conflitto, spesso inevitabile e ineludibile, sia da ritenersi un indice di salute della democrazia, una sua composizione attraverso strumenti collaborativi di prevenzione e/o conciliazione è preferibile rispetto al contenzioso. Ricorrere al giudice, spiega Veronica Dini, non risolve quasi mai la controversia. Primo, perché il giudice stabilisce solo chi ha torto e chi ha ragione (chi vince e chi perde potremmo dire). Secondo, perché spesso non riesce a intercettare le richieste più profonde delle vittime dei danni ambientali, che esulano da un semplice risarcimento monetario e mirano a impedire che altri subiscano gli stessi torti. In questo senso, il ricorso ad accordi di natura privatistica dal basso possono condurre ad esiti di giustizia riparativa ambientale. Tra gli strumenti innovativi esistenti, ricorda Veronica Dini, ci sono: forme di monitoraggio civico volto a incidere sulle norme, procedure di negoziazione, mediazione e conciliazione per favorire una partecipazione deliberativa reale.
V Sessione
Francesca Rosignoli ha infine raccolto le ultime considerazioni nella quinta ed ultima sessione del workshop. Complessivamente, questo dialogo interdisciplinare ha alimentato un vivace dibattito sui principali punti di forza della giustizia ambientale in Italia. Tra i temi affrontati, il gruppo di ricerca si è concentrato particolarmente sulla centralità del conflitto ambientale e la sua differenza con l’ingiustizia ambientale; sulla possibilità di trovare una definizione comune di giustizia ambientale; sulle diverse qualificazioni della giustizia ambientale; su come diverse discipline si confrontano con l’incertezza scientifica nelle questioni ambientali; su come realizzare una giustizia ambientale trasformativa e forward-looking senza perdere di vista le ingiustizie storiche.
Sebbene la discussione abbia sollevato forse più domande che risposte, non sono mancati spunti di riflessione importanti. In particolare, si possono sottolineare i seguenti risultati rispetto ad alcuni punti chiave (è possibile scaricare la mappa riassuntiva del workshop realizzata da Margherita Brunori qui). In primo luogo, il gruppo di ricerca ha convenuto che una definizione di giustizia ambientale dovrebbe includere sia un approccio antropocentrico che una dimensione collettiva. Inoltre, dovrebbe occuparsi di spazialità e temporalità includendo le potenzialità della giustizia correttiva. Per giustizia correttiva si intende il dovere di compensare coloro cui è stato fatto un torto. L’obiettivo è quello di ripristinare la posizione in cui si trovavano le vittime prima di subire il torto. In secondo luogo, la giustizia ambientale dovrebbe riservare un’enfasi particolare sugli attori non statali, comprese multinazionali e imprese nazionali, come unità di responsabilità. In terzo luogo, la giustizia ambientale dovrebbe essere fondata sul passaggio dalle preferenze ai bisogni essenziali (basic needs). Infine, la giustizia ambientale dovrebbe concentrarsi maggiormente su un’equa distribuzione dei beni ambientali invece di focalizzarsi solo sugli oneri ambientali, avendo la città come driver del cambiamento.
Per concludere
Il primo passo verso una risposta di genere all’ingiustizia ambientale è stato quindi compiuto verso il livello normativo: sul significato della giustizia e su come dovrebbero essere le cose. Speriamo di vedere presto i prossimi passi di questo nuovo gruppo di ricerca. Tra i buoni propositi per il 2020 ci sono per il momento una special issue su una rivista scientifica e una pubblicazione collettanea.
Bibliografia
Fraser, N. (2009). Scales of Justice: Reimagining Political Space in a Globalizing World. New York: Columbia University Press.
Germani, A. R., Morone, P., & Testa, G. (2014). Environmental justice and air pollution: A case study on Italian provinces. Ecological Economics, 106, 69–82. https://doi.org/10.1016/j.ecolecon.2014.07.010
Heiman, M. K. (1996). Race, Waste, And Class: New Perspectives On Environmental Justice. Antipode, 28(2), 111–121.
Mohai, P., & Bryant, B. (1992). Environmental Racism: Reviewing the Evidence. In P Mohai & B. Bryant (Eds.), Race and the Incidence of Environmental Hazards:A Time for Discourse (pp. 163–175). Boulder, Colorado: Westview Press.
Pellow, D. (2002). Garbage Wars: The Struggle for Environmental Justice in Chicago. Cambridge, Mass: MIT Press.
Pulido, L. (1996). A Critical Review of The Methodology of Environmental Racism Research. Antipode, 28(2), 142–159.
Schlosberg, D. (2007). Defining Environmental Justice : Theories, Movements, and Nature. Oxford: Oxford Univ. Press.
Taylor, D. E. (2000). The Rise of the Environmental Justice Paradigm. American Behavioral Scientist, 43(4), 508–580.
Walker, G. (2012). Environmental Justice: Concepts, Evidence and Politics. London: Routledge.