Le imprese pubbliche rappresentano uno strumento unico e formidabile per coniugare lo sviluppo di conoscenze e competenze con l’innovazione tecnologica orientata agli obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale. Un articolo di Simone Gasperin (University College London)
Nel corso degli anni Ottanta si tenne una sconosciuta battaglia intellettuale presso il dipartimento Scienza e Tecnologia dell’OCSE. Da un lato i sostenitori delle politiche per l’innovazione diffusion-oriented e dall’altro chi riteneva che l’approccio mission-oriented avesse storicamente dimostrato la sua superiorità nel promuovere e indirizzare i cambiamenti tecnologici nelle economie capitalistiche moderne. Il secondo campo, rappresentato dai migliori studiosi ed esperti di economia dell’innovazione, vinse la battaglia intellettuale ma perse la guerra della politica economica. In una fase di crescente riflusso ideologico contro le politiche pubbliche discrezionali, la logica “orizzontalista” dell’approccio diffusion-oriented prevalse in tutti i principali luoghi di potere decisionale. L’idea sottostante era che le imprese private ed il mercato sarebbero stati perfettamente in grado di promuovere un non meglio qualificato progresso tecnologico. L’attore pubblico veniva relegato al ruolo di facilitatore nella diffusione della conoscenza (considerata troppo semplicisticamente come un bene pubblico), attraverso un generico sostegno all’istruzione, incentivi alle imprese per la ricerca e l’adozione di una politica industriale schiacciata sulle nuove regole della libera concorrenza.
In molti paesi, fra cui l’Italia, il cambio di paradigma dei decenni successivi fu talmente forte da stravolgerne la costituzione economica. In altri, come gli Usa e la Cina, il pragmatismo ha spesso prevalso sulle dichiarazioni d’intenti. Persino in Germania, modello per eccellenza dell’innovazione incrementale per mezzo di incisive politiche diffusion-oriented, si è adottato un modello mission-oriented per la transizione energetica, con il progetto Energiewende. Con l’avvento della crisi economica, l’aggravamento delle diseguaglianze, l’affermazione della potenza cinese e la consapevolezza dell’imminente catastrofe ambientale, è emersa la domanda per un diverso approccio alle sfide dei nostri tempi.
In questo contesto è tornato alla ribalta il concetto delle “missioni”, accolto con sempre maggiore interesse da parte delle istituzioni pubbliche, fra tutte la Commissione Europea. In questi termini, il lavoro della Professoressa Mariana Mazzucato, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose (University College London), è servito a delineare la struttura di nuova strategia industriale “mission-oriented”.
In cosa consiste l’approccio mission-oriented alle politiche pubbliche per l’innovazione e l’industria? Si tratta molto semplicemente di orientare e coordinare le azioni delle strutture pubbliche e private verso un obiettivo chiaro, volto a vincere una sfida ben identificabile. I punti di forza dell’approccio sono la capacità di mobilitare l’entusiasmo innovativo degli attori coinvolti, spesso operanti in settori diversi, ma caratterizzati da inesplorate interdipendenze e opportunità di interazioni simbiotiche. Le guerre e la “paura del comunismo” rappresentano modelli controversi di missioni iniziate in ambito militare, ma con potenti ricadute tecnologiche in applicazioni civili (chimica-farmaceutica, elettronica). Fra gli esempi più nobili si trovano invece la “guerra al cancro” e lo sbarco sulla Luna del 1969. Le ricadute innovative di tutti questi casi hanno prodotto risultati tecnologici trasformativi e di duratura portata.
Come si strutturano le politiche mission-oriented? Mariana Mazzucato ha identificato cinque criteri. Primo, le missioni devono avere una rilevanza ampia per la società. Secondo, gli obiettivi devono essere precisi, misurabili e limitati nel tempo. Terzo, la ricerca e l’innovazione attorno alle missioni devono essere bilanciate tra l’ambizioso ed il realistico. Quarto, le missioni devono essere multisettoriali e multidisciplinari, attivando una pluralità di soggetti. Infine, il successo delle missioni viene favorito dal coinvolgimento operativo degli attori interessati.
In generale, una volta riconosciute le sfide e definite le missioni, si procede a identificare i settori implicitamente o potenzialmente coinvolgibili, per realizzare dei singoli progetti di missione che rappresentano l’elemento operativo dell’approccio. In questo contesto teorico, si inserisce a pieno titolo la Proposta n. 3 del Forum Disuguaglianze Diversità, circa l’istituzione di un Comitato ministeriale che favorisca l’assegnazione di missioni strategiche di medio-lungo periodo alle imprese pubbliche italiane, per orientarne le scelte tecnologiche verso obiettivi di competitività, giustizia ambientale e giustizia sociale.
La proposta interessa un elemento cruciale del governo delle missioni: le competenze del settore pubblico. Si tratta di un aspetto di fondamentale importanza per la pianificazione, l’implementazione ed il successo delle missioni. Sul tema delle competenze tecniche e della vivacità imprenditoriale del settore pubblico, il nostro paese ha storicamente fornito degli esempi illustri, si pensi alle tecnostrutture dell’IRI e dell’ENI, miopicamente smantellate negli anni Novanta. La proposta del Comitato di tecnici ed esperti muove nella necessaria direzione di creare un’autonoma e competente struttura pubblica di indirizzo, che funga da raccordo con i quadri tecnici delle principali imprese pubbliche nazionali. Inoltre, la proposta valorizza la multisettorialità delle imprese pubbliche interessate. Dal settore aerospaziale, all’energetico, dalla microelettronica ai sistemi di trasporto, le interdipendenze potenzialmente attivabili attorno a delle missioni unitarie sono notevoli. Il Comitato potrebbe acquisire l’importanza strategica di “esplicitare gli indirizzi programmatici caratterizzati da pervasività intersettoriale, con particolare riguardo alla valorizzazione delle interrelazioni”. Parole, queste ultime, non a caso prese a prestito dal Programma quadriennale dell’IRI del 1989.
Per vincere le sfide del nostro secolo attraverso l’approccio delle missioni, è necessario che l’attore pubblico diventi più visionario, preparato ed imprenditoriale. Ma l’organizzazione dove prendono forma le soluzioni tecnologiche ai problemi delle società moderne rimane l’impresa industriale. Le imprese pubbliche rappresentano quindi uno strumento unico e formidabile per coniugare lo sviluppo di conoscenze e competenze con l’innovazione tecnologica orientata agli obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale.