Pubblichiamo il resoconto dei partecipanti alla Summer School pubblicato sul sito di RENA.
Salvatore Morelli (Graduate Center CUNY, Forum Diseguaglianze e Diversità)
Morelli presenta i lavori di ricerca e le proposte del Forum Disuguaglianze Diversità per ridurre le disuguaglianze, concretizzate nel Rapporto 15 Proposte per la giustizia sociale frutto dello studio di più di 100 esperti ed esperte e realizzato in più di 30 incontri e seminari svolti in giro per l’Italia tra il 2017 ed il 2018. L’impianto concettuale del Rapporto parte dal presupposto che negli ultimi 30 anni c’è stato un arresto se non un’inversione del processo di riduzione delle disuguaglianze. Questo processo è stato frutto di scelte politiche ma anche di un mutato atteggiamento culturale nei confronti della povertà (“se l’è meritata”) e verso il merito (“sono ricco perché l’ho meritato”). Il Rapporto delinea 15 proposte di politiche che potrebbero essere adottate in Italia.
Una panoramica sulle disuguaglianze
Dal 1987 al 2016 diminuiscono il reddito totale delle famiglie ed il peso dei redditi da lavoro (-20% lavoro dipendente, -30% lavoro autonomo); ma la ricchezza – dal 1966 al 2016 – aumenta da 20.000€ a 140.000€ pro capite: il debito aumenta ma l’Italia resta comunque uno dei paesi meno indebitati. La crisi tra il 2006 ed il 2016 ha ridotto i redditi di tutti ma dai dati emerge come le fasce più povere della popolazione siano state maggiormente colpite: la disuguaglianza di reddito è aumentata dagli anni Ottanta, si è stabilizzata nel dopo crisi, ma la povertà è aumentata (intendendo le famiglie con un reddito inferiore del 60% del reddito mediano). Si allarga inoltre la forbice tra il reddito medio delle famiglie “giovani” (under 30) e quello delle famiglie “anziane” (oltre 65 anni).
L’evoluzione della disuguaglianza di ricchezza in Italia
Nel dopo crisi la ricchezza netta cresce per i 10 italiani più ricchi e diminuisce per tutta la popolazione; così come cresce la concentrazione della ricchezza: il 24% di essa è nelle mani dell’1% (i 500.000 adulti più ricchi)… ma diminuisce il peso delle imposte di successione: dallo 0,6% del 1970 allo 0,0% con il governo Berlusconi allo 0,1% attuale. Sono parallelamente cresciute la rilevanza e la concentrazione dei lasciti ereditari: il 4% dei lasciti supera il milione di euro e rappresenta il 40% del totale del valore dei lasciti. Rapporto tra generazioni: la probabilità di migliorare il proprio status economico, rispetto a quello del padre è bassissimo tra i poveri; le nuove generazioni sono sempre più dipendenti dalla ricchezza familiare ed accumulano sempre meno risorse finanziarie.
Le ragioni per cambiare
L’Italia è uno dei paesi con più bassa mobilità sociale e le disuguaglianze di ricchezza sono in aumento. Le nuove generazioni sono sempre più marginali. Circa il 14% dei giovani abbandona la scuola secondaria. Il tasso di disoccupazione fra i 15-24 anni era di circa 35% nel 2017. I giovani hanno salari di ingresso più bassi, carriere più precarie e progressione salariale più bassa. Di conseguenza, è molto difficile accumulare ricchezza e sufficienti risorse per il pensionamento. L’attuale sistema fiscale vede con troppo favore i vantaggi ereditati: eredità di eguale valore sono oggi soggette a diversa tassazione; i grandi patrimoni ereditati non sono necessariamente soggetti a tassazione superiore rispetto ai piccoli patrimoni.
Che significa cambiamento? 1 proposta con 2 gambe
L’imposta sui vantaggi ricevuti
– imposta progressiva sulla somma dei trasferimenti di ricchezza ricevuti nel corso della vita da qualsiasi parte provengano (con soglia di esenzione = 500 mila Euro e tre aliquote marginali: 5%, 25% sopra 1 mln €, e 50% al di sopra dei 5 mln €). Eliminando anche le attuali esenzioni fiscali e rivalutando i prezzi catastali.
L’eredità universale
– trasferimento di ricchezza incondizionato a tutti i giovani al raggiungimento della maggiore età (pari a 15,000 Euro)
Cosa cambierà? Gli obiettivi
Ridurre la disuguaglianza di opportunità (art. 3 della Costituzione)
– Ridurre il peso della lotteria sociale e della ricchezza di famiglia
– Ridurre la disuguaglianza fra chi ha la fortuna di nascere in una famiglia agiata e chi no, mescolando meglio le carte nel passaggio intergenerazionale della ricchezza
– Migliorare la giustizia fra generazioni
Aumento dell’indipendenza e della libertà sostanziale dei nostri giovani facilitando il passaggio verso la vita adulta. Si tratta di una proposta – un piccolo tassello. Sfida per il dialogo pubblico!
Giacomo Gabbuti, University of Oxford, Jacobin Italia
La mobilità sociale in Italia. Cos’è, chi la vuole, dov’è andata a finire?
Giacomo, dottorando in storia economica, è redattore di Jacobin Italia, spin off italiano del magazine americanoThe Jacobin. Questa la trama del suo intervento: 1. Cosa intendiamo per mobilità sociale. 2. Com’è cambiata la mobilità sociale in Italia? 3. Interpretazione, cause e rimedi
- Cosa intendiamo per mobilità sociale
Utile chiarire tra intra- (nel corso della vita di una persona) e inter-generazionale (‘multi’ se parliamo di più di una). Ma soprattutto tra:
- Assoluta – i flussi osservati tra gruppi diversi;
- Relativa – le diverse probabilità di arrivare in un gruppo, partendo da gruppi diversi.
La mobilità relativa assomiglia all’idea di uguaglianza di opportunità (e di meritocrazia?). Non dobbiamo assicurare l’uguaglianza all’arrivo, ma alla partenza. In parte questo riflette l’idea che l’uguaglianza freni l’efficienza economica – fare fette uguali riduce la torta; ma far partecipare tutti ci assicura di scovare il cuoco migliore. Ma nella pratica, le due sembrano andare a braccetto: i paesi più eguali sono anche i più mobili. La mobilità sociale è un vero e proprio collante ideale – il “sogno americano”, ma anche in Europa influenza la visione che abbiamo della disuguaglianza. E contribuisce all’equilibrio politico! Ma anche oggi si osserva che la possibilità (o la percezione) di mobilità riducono l’opposizione all’ordine sociale esistente, e anche la richiesta di politiche redistributive.
- L’Italia di oggi
Per gli ultimi decenni aumentano le informazioni disponibili – e in effetti abbiamo fonti e indicatori diversi, su aspetti che vanno dal reddito all’occupazione, dalla ricchezza all’istruzione. Raccontano la storia di un paese gravemente immobile. In molte stime saremmo addirittura tra le peggiori economie avanzate. La mobilità sembra essere in calo almeno da fine anni ’90- inizio anni 2000. L’istruzione italiana è più immobile che negli USA, la scuola riproduce le disuguaglianze. Ma in diversi lavori si mostra come nei paesi più immobili (Italia e UK) le differenze non dipendono da istruzione/occupazione e l’effetto è più forte nei settori regolamentati (capitale relazionale). Analizzando l’eredità dell’occupazione, si riscontrano diversi meccanismi, non solo nelle professioni:
la trasmissione diretta dell’attività familiare; il «capitale culturale» (soft skill?) – molto importante in diverse professioni (industria culturale su tutte), talvolta difficile da separare dalla trasmissione dell’abilità e delle competenze; l’«avversione al rischio». Questi meccanismi avvantaggiano di più i figli maschi, e settori dove l’accesso dipende meno da titoli di studio e concorsi.
Interpretazione, cause e rimedi
Dalla grande crescita siamo passati alla stagnazione (almeno dal 1992) e a un vero e proprio declino. Ristagnano soprattutto i salari (la loro quota è crollata dagli anni ’80), e il lavoro è sempre più precario (o senza retribuzione). Sono riesplosi i divari regionali, assieme a quelli tra grandi città e provincia, riflessi dal voto «populista». I lavori «buoni» non sono cresciuti così tanto; anche per le privatizzazioni, le grandi imprese sono sempre di meno, e la domanda di laureati è rimasta bassa. La stessa istruzione diventa sempre più «ereditaria», con la scuola che fotografa le disuguaglianze di partenza. Anche per questo, nel mercato del lavoro contano le conoscenze personali, con chiari effetti sulla mobilità.
La mobilità sociale cattura appieno molte delle contraddizioni della società italiana: sistemi «pubblici» come la scuola e l’università che cristallizzano le differenze di partenza; diritti «nominali» come quello all’istruzione o all’accesso alle professioni resi vani dalle disuguaglianze economiche, ma anche di status e potere; grande spazio per conoscenze e contatti personali (soprattutto con aziende piccole ed autoimpiego).
Che fare? (parliamone) Lottare per l’uguaglianza (proposte del Forum Disuguaglianze Diversità, ma anche dell’ OCSE):
- Istruzione veramente accessibile
- Riformare il fisco in senso progressivo
- Sostenere i salari – minimi, diritti
- Una strategia di coesione territoriale per Sud e aree interne
- Un welfare universale contro povertà e disoccupazione.
- Intervenire sulla trasmissione dei privilegi: Professioni, eredità, etc.
La crescita, ma basata su innovazione e alti salari:
- Investire in istruzione, università e ricerca, ma anche e soprattutto in settori in grado di assorbirle;
- La conversione ecologica, ma non solo – sanità, cultura, ..?
- Riformare la pubblica amministrazione per ridare allo Stato il ruolo di propulsore dell’innovazione.
Photocredits: RENA