Dalle proposte n. 2 e 4 di Anthony Atkinson. È compito delle politiche promuovere un ribilanciamento dei poteri fra lavoratori e imprenditori, dando base giuridica al ruolo e alla consultazione dei lavoratori e dei sindacati del lavoro, introducendo nuove regole retributive a livello nazionale (in tema sia di retribuzione minima che di divari retributivi), e promuovendo la democratizzazione delle forme di governo delle imprese e la partecipazione al controllo e alla gestione da parte dei lavoratori.
Motivazioni. Gli elevati livelli di disuguaglianza che si osservano negli ultimi decenni sono in parte causati da una diminuzione del potere contrattuale da parte dei lavoratori (oltre che dei consumatori). Questo è dovuto ad una serie di fattori tra cui: la maggior mobilità dei capitali e la conseguente maggior facilità di spostare la produzione altrove (offshoring); il declino della cultura solidaristica di matrice sindacale; l’adozione da parte delle aziende di obiettivi di breve periodo che mirano alla massimizzazione del profitto a scapito delle responsabilità sociali; e l’assenza di considerazioni di carattere distributivo nella definizione delle politiche di concorrenza. Le proposte di Atkinson riguardano, oltre alla certezza di legittimazione giuridica delle rappresentanze sindacali dei lavoratori, sia la determinazione della retribuzione del lavoro (reddito minimo e accordi/impegni in merito al contenimento dei divari retributivi), sia l’influenza del lavoro sulle scelte di investimento delle imprese. Questioni fra loro collegate e a loro volta collegate al tema delle scelte tecnologiche.
Per quanto riguarda la retribuzione del lavoro, l’acuirsi della differenza nel potere negoziale del lavoro ha generato un forte squilibrio nelle retribuzioni, con il conseguente aumento della disuguaglianza tra imprese e all’interno delle stesse imprese. In molti paesi si prova ad ovviare, almeno in parte, a questo problema attraverso la definizione si un salario minimo. Spesso, però, nel definire il salario minimo non si guarda agli effetti distributivi ma alle sue conseguenze sul mercato del lavoro e non si tiene conto, nella sua determinazione, delle implicazioni sul tenore di vita delle famiglie. Per questo esistono pressioni affinché il salario minimo venga aumentato e ridefinito in base ai bisogni delle famiglie. Negli anni recenti si è anche assistito a un considerevole aumento delle retribuzioni nella parte alta della distribuzione salariale (quadri e dirigenti) che ha portato a un netto allargamento del divario tra le varie classi di reddito e ha dato origine alla richiesta di porre limiti ai livelli dei compensi o comunque ai divari interni allo stesso luogo di lavoro.
Per quanto riguarda l’influenza del lavoro sulle scelte di investimento, attraverso forme di codeterminazione “alla tedesca” o di partecipazione alla gestione, al controllo o alla proprietà, molteplici sono le modalità con cui tale influenza si può manifestare, anche sfruttando l’autonomia statutaria delle imprese all’interno di alcuni principi normativi chiari e di validità generale. Nell’insieme, queste diverse forme devono riflettere l’idea della democratizzazione delle forme di governo delle imprese e di un aumento del peso dei lavoratori nel bilanciamento dei poteri che si riflettono nella loro gestione. Oltre ad affrontare alla radice il tema della disuguaglianza di potere e di riconoscimento e influire sull’equità nella realizzazione delle capacitazioni nell’ambito del lavoro e quindi nella distribuzione del benessere, questa nuova distribuzione dei poteri nel controllo e nella gestione può, infatti, non solo consentire di ridurre i divari retributivi e gli effetti di medio-lungo periodo nelle scelte strategiche aziendali sul lavoro e l’occupazione ma, in presenza di tecnologie che richiedono, o possono permettere, una forte interazione fra operatività produttiva e disegno manageriale, può assicurare incrementi di efficienza produttiva e la stessa sopravvivenza o rilancio delle imprese.
Possibile articolazione
Seguendo (e in alcuni punti sviluppando) le proposte di Atkinson, le azioni da prendere in considerazione e da disegnare per l’Italia possono essere riassunte in quattro categorie:
- Creazione di una cornice giuridica nuova e più sicura per garantire un appropriato equilibrio dei poteri.
- Determinazione di un salario minino che tenga conto delle condizioni delle famiglie e del sistema generale di tributi e benefici in modo da inglobare anche considerazioni di carattere distributivo nella sua attuazione.
- Raggiungere un consenso volontario su un limite retributivo nelle aziende pubbliche e private.
- Promuovere o comunque rimuovere gli ostacoli che prevengono forme di democratizzazione del governo di impresa.
Alcuni profili significativi per l’Italia. È chiaro che entrambi i temi si incrociano con attori significativi della storia della Repubblica. Le norme costituzionali sull’equa retribuzione, in combinazione con la capillare contrattazione nazionale, hanno di fatto assicurato fino ad oggi una sorta di minimo salariale erga omnes. Tuttavia, la frammentazione delle forme della prestazione lavorativa (incoraggiate legislativamente dai governi di diversa coloratura politica che si sono succeduti) pone oggi un reale problema di tutela salariale e di rappresentanza degli interessi, che i sindacati italiani non sempre sembrano in grado di fornire. Se a questo si aggiunge la particolare natura frammentata del nostro sistema produttivo, ci si rende conto di come occorra un elevato grado di fantasia istituzionale per poter assicurare soluzioni che siano equilibrate, anche in riferimento ai divari territoriali che ne verrebbero investiti. Per contro, le esperienze di partecipazione dei lavoratori al controllo delle imprese sono variamente diffuse in Italia, sia direttamente, attraverso cooperative – previste, ad esempio, dalla legge Marcora –, sia attraverso la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari, sia attraverso un’informazione preventiva dei sindacati in merito ad alcune decisioni aziendali. A questo fine occorre assicurare un quadro concettuale e normativo unitario che possa ricompensare e orientare questi profili nella direzione di poter assicurare ai lavoratori una presenza più adeguate al ruolo che le risorse umane oggi rappresentano nel grado di competitività delle aziende.
I temi
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Un lavoro con più forza per contrattare
30 ottobre 2018, Milano
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