Il pubblico dibattito sul Recovery Plan (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) può riportare l’Italia sulla strada giusta. Ma solo se sapremo davvero “dibattere”. Di fronte a una calamità naturale e sociale come la pandemia, che impatta su tutte le dimensioni della vita umana in misura e modi così diversi e che obbliga una moltitudine di persone a ridisegnare la propria esistenza, una stagione di nuovo sviluppo non potrà mai nascere in stanze chiuse, senza mobilitare i saperi e senza che si crei una coesione nazionale. Ancor più per un Paese che da oltre vent’anni vede peggiorare la propria condizione economica e sociale, in assoluto e rispetto agli altri. E che a un tale destino è sembrato a tratti rassegnarsi.
Ma la storia, la pratica e perfino la “teoria della scelta sociale” ci dicono che per trovare un accordo, un’intersezione, fra posizioni diverse e arrivare a scelte condivise, il dibattito deve essere non solo pubblico, ma anche acceso, aperto, informato e ragionevole, ossia attento ai punti di vista e alle idee altrui. Muovendo da qui e da valutazioni pur diverse sull’equilibrio fra mercato e sociale e, forse, sull’ordine delle priorità, noi desideriamo indicare due principi che, se posti alla base del confronto dei prossimi decisivi sessanta giorni, possono produrre gli esiti che tutti dovremmo auspicare.
Come in altre fasi, l’Unione Europea ci viene in aiuto. Anzi, questa volta va oltre. Non ci dà solo un obiettivo di portata storica (come per l’euro) capace di mobilitare e fondere l’impegno dell’intero Paese. Non ci induce soltanto ad ammodernare parti del sistema economico (come di continuo l’UE ha fatto con gli strumenti del mercato unico e della concorrenza) e sociale (come è avvenuto con un’ampia gamma di direttive, dalla parità di genere alla protezione del consumatore). Questa volta l’UE ci dà tre stimoli in più : 1) l’invito a condividere con gli altri Paesi un disegno comune (verde, digitale, riduzione delle disuguaglianze) ; 2) ingenti risorse finanziarie per realizzarlo e per innestarlo nei bilanci nazionali ; 3) un metodo nuovo, sotto due profili cruciali : a) non più solo investimenti, ma anche riforme ; b) un dispositivo di rimborsi delle spese in base all’esibizione non semplicemente dei pagamenti effettuati, ma anche della prova della realizzazione delle azioni programmate e soprattutto dei loro risultati in termini di benessere economico e sociale.
Ecco allora il nostro primo principio: il “linguaggio dei risultati”. Si parta, è una base, dal documento circolato, dalla visione espressa nelle sue prime pagine, dalle missioni generali che ne discendono; ma per tradurli, attraverso il pubblico dibattito, in risultati attesi, misurabili e verificabili. Sono questi che contano, per i cittadini e per l’UE. Solo così si può verificare la validità dei progetti proposti, levando loro ogni marchio burocratico o di appartenenza e dando loro concretezza. Sulla missione decisiva della scuola, ad esempio, punti di vista anche diversi potranno trovare intersezioni, dando gambe al cambiamento: per costruire la “scuola aperta”, suggerita ieri su queste colonne da Francesco Giavazzi, raccogliendo i saperi e l’intuizione di patti educativi territoriali che vengono dalla rete educAzioni; o per dare corpo all’impegno di uno storico salto quantitativo e qualitativo nell’offerta di asili nido, anche come parte di un nuovo disegno dei servizi di cura, ed essendo ben certi che vi siano nel bilancio dello Stato le risorse per aprirli.
E questo ci porta al secondo principio: la “grammatica della gestione”. Non possiamo fare come negli ultimi decenni quando successivi governi e Parlamenti, attraverso il debito pubblico, hanno forzosamente “preso a prestito” dagli italiani di domani risorse altrettanto ingenti, bruciandole senza generare sviluppo. E allora il governo di attuazione del Piano deve rappresentare il primo passo della rigenerazione delle Pubbliche Amministrazioni. Da richiamo fugace, questa rigenerazione deve diventare l’impegno primario del Piano, la condizione del suo successo, quello che prima ancora dell’Europa i cittadini italiani si attendono. Si può fare. Senza l’ennesima grande riforma. In un documento proposto da Forum Disuguaglianze Diversità, Forum PA e Movimenta, che con altri abbiamo entrambi firmato, si indicano i quattro passaggi da compiere, concreti e fattibili: cogliere l’irripetibile occasione del massiccio ricambio generazionale in atto per attrarre i giovani migliori con moderne modalità di reclutamento; mettere al centro i risultati; valorizzare chi già ci lavora; aprire le PA alla collaborazione con la società per accoglierne i saperi.
Affinché la governance del Piano divenga il pilota di questa rigenerazione, essa deve evolversi in due direzioni, superando la tentazione perdente di dar vita a una macchina parallela e sovrapposta alle PA.
In primo luogo, sulla base di una valutazione di massima degli interventi da realizzare per conseguire i risultati attesi, si può individuare la vasta mappa territoriale delle amministrazioni coinvolte, in grande misura comunali, valutarne i fabbisogni per fare fronte al Piano, mobilitare i dipendenti pubblici che ne fanno parte e avviare ad horas il reclutamento di nuovi funzionari, con modalità concorsuali di questo secolo e con tempi che l’esperienza dimostra abbattibili fino a sei mesi (con più, non meno, qualità).
Vi è poi la necessità di un forte governo nazionale dell’attuazione. Certo, esso deve avere in una snella squadra tecnica di servizio al Referente Unico, chiesto dall’UE, il mezzo per identificare quotidianamente gli ostacoli e indicare le soluzioni, ricorrendo, come previsto, a una banca dati aperta al monitoraggio civico e gestita dal Ministero dell’Economia e Finanze. Ma l’indirizzo dei processi, la responsabilità per la fissazione e l’attuazione dei target e dei loro cronoprogrammi, l’impulso ordinario all’intera filiera attuativa, devono venire dai vertici delle Amministrazioni centrali responsabili, in costante collegamento con le Regioni. Sono questi vertici e le loro strutture che, ove necessario, vanno sostituiti senza esitazioni, anche con immissioni esterne opportunamente selezionate.
Accantonando il politicismo che pure torna in queste ore e che allontana i cittadini dalle istituzioni e distrugge fiducia, crediamo che il pubblico dibattito che si è aperto, se innervato da questi due principi, il linguaggio dei risultati e la grammatica della gestione, debba e possa fare del Piano lo strumento per il cambio di rotta di cui il Paese ha bisogno.