Un’analisi del voto e delle politiche pubbliche, nazionali ed europee degli ultimi anni, che sono state spesso “cieche ai luoghi” e non hanno consentito l’esigibilità dei diritti che dovrebbero essere invece garantiti ai cittadini. A partire da questo Fabrizio Barca, intervistato dalla rivista Confronti, spiega cosa si propone di fare il Forum Disuguaglianze Diversità.
“Il forum va iscritto in quella molteplicità di iniziative in cui i cittadini si impegnano per il cambiamento della cosa pubblica in un’organizzazione di cittadinanza, e cerca di trovare in modo sistematico un rapporto con la ricerca, e quindi tra i 32 componenti che ne fanno parte ci sono istituzioni e studiosi delle disuguaglianze. Nel convincimento che per ricavare dalle notevoli e preziose esperienze delle singole organizzazioni indicazioni di policy sia necessario valutare, analizzare, esaminare in profondità. Siamo inoltre profondamente convinti che le enormi disuguaglianze di oggi siano economiche, ma anche sociali — cioè di accesso ai servizi — e di riconoscimento: del proprio essere e della propria persona. Queste disuguaglianze non sono frutto di un “destino cinico e baro”, ma sono il frutto di politiche sbagliate.
Per compensare i danni di queste politiche sbagliate si è poi ben pensato di dare sussidi, compensazioni compassionevoli. Al sud, nelle aree rurali, nelle periferie. Soldi dati per tenere buone le persone. Facendo però un danno ulteriore, costringendoli a rimanere subalterni, soffocati. La rabbia è però cresciuta dentro, ed è quella che si è manifestata nelle urne. L’economista e geografo Andrés Rodìguez-Pose ha detto che «dalla Francia alla Gran Bretagna, l’Austria alla Germania, l’Italia agli Stati Uniti, il voto è stato una richiesta di attenzione». E ha descritto tale sentimento con la frase “se non ho futuro, che non possa averlo neanche tu”. È la reazione di rabbia: quando non riesci più a tradurla in forma di cambiamento, tiri giù tutto. Se dobbiamo andare giù, allora andiamo giù tutti insieme! Le classi dirigenti questo non lo stanno ancora capendo. […] Se l’Europa non riesce a convincere tutti i cittadini di essere la chiave della pace e della giustizia, usando l’espressione dell’articolo 11 della Costituzione italiana, la qual cosa giustifica la nostra cessione parziale di sovranità, allora crollerà: chiusura delle frontiere, delle relazioni internazionali, scontri! Se l’Europa ce la vuole fare (e deve farcela), allora quando enuncia diritti — come ha fatto lo scorso ottobre col documento Il pilastro europeo dei diritti sociali — deve rendere questi diritti, come prevede la nostra Costituzione, esegibili. Deve dunque dire quali sono gli strumenti legislativi e le risorse finanziarie con cui attuarli. Tutto ciò non è ancora entrato nella testa di chi sta a Bruxelles.
Il Forum vuole proporre policy comprensibili non solo dalla politica, ma dai cittadini. Di comunicare il perché possiamo farcela andando avanti tutti insieme, e non tornando indietro. Le politiche che vogliamo proporre riguarderanno gli interventi sul credito, sul trasferimento delle imprese, sull’indebitamente eccessivo. Un altro blocco è chiamato il “programma Atkinson per l’Italia”, e parte dal pensiero dall’economista Tony Atkinson, uomo geniale, europeista convinto che il mondo si possa cambiare. Proviamo a calare in Italia le proposte del suo ultimo libro che riguardano anche la pre-distribuzione, e si concentrano su quattro punti: indirizzo del progresso tecnico, tutela dei piccoli risparmi, che finiscono per essere più insicuri di quelli grandi; il trasferimento generazionale della ricchezza, e il ruolo/peso del lavoro. […] Le persone hanno votato “contro”. Contro le classi dirigenti che hanno governato prevalentemente in questi anni il Paese. Le periferie sono sotto l’attenzione del Forum. A mio avviso non basta per le periferie limitarsi a fare bandi per progetti “a pioggia”, anche se possono certamente attivare energie interessanti. Bisogna ripartire dal basso. I luoghi devono essere reali, avere una dimensione dove i cittadini possano lavorare con altri cittadini. In queste periferie lavorano già organizzazioni straordinarie — alcune sono nel Forum — , che a differenza dei partiti raccolgono la fiducia dei cittadini e producono idee e soluzioni. La strada generale è ripartire da lì. Attivare strategie d’area, di quartiere, strategie comprensive: scuole, salute, lavoro, illuminazione la notte, sicurezza, affitti dei piccoli esercizi commerciali cacciati dalla gentrification. E portare tutto ciò all’attenzione delle pubbliche autorità affinché i cambiamenti urbani non siano decisi né in un ufficio burocratico né in quello di una corporation.”
La versione integrale dell’intervista è consultabile qui.