Quale Europa

Politiche macroeconomiche.
Rimettere l’Europa al passo coi tempi

Francesco Saraceno

Francesco Saraceno è vicedirettore di Dipartimento presso l’Ofce (Observatoire français des conjonctures économiques), il Centro di ricerca in Economia di Sciences-Po (Parigi). Tra i suoi interessi di ricerca si possono citare la relazione tra disuguaglian- za e performance macroeconomiche, le politiche macroeconomi- che europee e l’interazione tra le riforme strutturali e politiche fi- scali e monetarie. Insegna macroeconomia europea al Collège d’Europe (Bruges) e all’Insead e alla Luiss, dove è membro del comitato scientifico della Luiss Institute for European Analysis and Policy (Leap). Tra le sue pubblicazioni recenti: La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’eco- nomia (Luiss University Press, 2019) e La riconquista. Perché ab- biamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela (Luiss Uni- versity Press, 2019).

Francesco Saraceno

Le istituzioni macroeconomiche europee sono figlie di un’altra epoca. La governance macroeconomica dell’Unione è infatti nata negli anni Novanta sulla base del convincimento proprio del neoliberismo – il “Nuovo Consenso” lo chiama l’autore – che i mercati, una volta corrette le distorsioni nel loro funzionamento, portassero da soli all’equilibrio e che la politica economica dovesse avere un ruolo limitato. La sequenza di crisi iniziata dal 2008, però, ha progressivamente spinto a ripensare la macroeconomia. L’Europa è partita in ritardo: non a caso l’Eurozona è stata l’unica tra le grandi economie avanzate ad aver conosciuto una seconda recessione tra il 2012 e il 2013. La pandemia di Covid sembrava aver prodotto un cambiamento che in poche settimane ha portato all’approvazione del programma Next Generation EU che con tutti i suoi seri limiti attuativi rimane il più innovativo strumento introdotto dall’UE negli scorsi decenni. Ma la spinta propulsiva si è esaurita in fretta, mentre l’inflazione ha riacceso i riflettori sul debito e il dibattito è tornato a concentrarsi sul controllo delle finanze pubbliche. Risultato: il nuovo “patto di stabilità” immaginato dalla Commissione è diventato un guscio vuoto che, al di là di una marea di complesse clausole, è tornato a imporre vincoli numerici annuali e scoraggia i massicci investimenti pubblici richiesti dalle transizioni. Con questo patto l’Europa non può affrontare le sfide che ha davanti. Per questo, occorre lavorare per costruire un difficile consenso su una proposta che dia capacità centralizzata di bilancio all’Unione per realizzare politiche industriali e sui beni pubblici globali.

 

 

Europe’s macroeconomic institutions are the products of a bygone era. In fact, the EU’s macroeconomic governance was brought about in the 1990s on the basis of a belief peculiar to neoliberalism — the author calls it “The New Consensus” — that, once distortions in the way they function were corrected, markets alone would lead to equilibrium and that economic policy should play a limited role. The sequence of crises that began in 2008, however, gradually prompted a rethinking in macroeconomics. Europe got off to a late start: not surprisingly, the Eurozone was the only area among the large advanced economies to experience a second recession between 2012 and 2013. The Covid pandemic seemed to have produced a turnaround that in a matter of weeks led to the approval of the Next Generation EU program, which — despite serious difficulties in its implementation —is nonetheless the most innovative tool the EU has introduced in recent decades. But momentum quickly wore off as inflation turned the spotlight back to the issue of debt and the debate regressed to focussing on controlling public finances. The result is that the new “stability pact” initially envisioned by the Commission has been turned into an empty shell that, beyond a barrage of complex clauses, has reverted to imposing annual numerical constraints and discouraging the massive public investment required by transitions. With this pact in place, Europe cannot meet the challenges it faces. Work is needed to build a difficult consensus around a proposal that would give the EU centralized budgetary capacity to implement global and industrial public goods policies.