Su twitter è nato un dibattito sul ruolo dei think tank come luoghi di elaborazione, di confronto e di diffusione di idee e proposte di politiche pubbliche. Il ForumDD ha deciso di ospitare alcuni approfondimenti utili al confronto. Il contributo di Andrea Morniroli*
Se guardo al dibattito che si è aperto su twitter in relazione al ruolo che oggi possono avere i think tank come spazio di confronto e di elaborazione di una proposta politica, non posso che fare un immediato richiamo alle motivazioni che mi hanno spinto, a partire dalla mia esperienza di cooperatore sociale, ad investire tempo, testa e lavoro nella costruzione e nello sviluppo del ForumDD. Mai come oggi, infatti, appare necessario accompagnare la gestione e l’operatività dei servizi sociali con una grande capacità di ricerca e riflessione sulle informazioni e i saperi che arrivano da quel fare. Perché, il primo disinvestimento che in questo Paese si è fatto sul welfare non è stato tanto quello economico (pur rilevante e dirimente) ma quello culturale. Cioè si è messa in discussione l’idea di un welfare utile a tutti e tutte e non solo ai più deboli e insieme l’ottica che centrava il lavoro sociale non sul “far del bene” ma sul tentativo, certo molto più faticoso ed esposto al rischio del fallimento, di tutelare e promuovere diritti.
Per questo per chi come me oggi continua a lavorare in tale ambito è forte la necessità, pena il perdere ogni capacità di produrre cambiamento, o peggio di colludere con logiche di contenimento e di cronicizzazione delle fragilità, di trovare e investire in luoghi dove riflettere sul proprio fare e dove incontrare altri punti di vista, altre esperienze e altri studi, che a partire dai loro specifici colgono la stessa esigenza di incontro e reciproca contaminazione. Credo che l’attenzione al Forum e alle sue attività nasca dal fatto che il Forum stesso venga riconosciuto proprio come un luogo accessibile e abitabile per chi sente l’esigenza di fermarsi a riflettere perchè riconosciuto come “luogo salvo” da una deriva politica caratterizzata da un dibattito povero e poco coraggioso e soprattutto centrato non tanto sul dato di realtà – sapendo farsi carico della sua complessità e delle sue contraddizioni – quanto su rappresentazioni semplificate della realtà stessa. Rappresentazioni più o meno piegate a logiche strumentali o di costruzione di facile consenso elettorale. Intendiamoci non sto semplificando o sottovalutando i danni prodotti da tali approcci. Al contrario, penso che le percezioni e gli stati d’animo costruiti attraverso la diffusione della paura e del rancore e sul proporre “nemici opportuni” su cui fare cadere le colpe della precarietà e povertà diffusa, se in un primo momento avevano fatto breccia nella “pancia” delle persone oggi si sono fortemente radicate della testa di quelle stesse persone.
Proprio per questo penso che oggi un primo problema sia quello di trovare linguaggi, punti di interesse comune, proposte di politiche che permettano di riattivare relazioni, collegamento, condivisione e alleanza con chi oggi è più attratto dal rancore piuttosto che dalla cura, dalla chiusura piuttosto che dall’ospitalità, da logiche competitive basate su idee identitarie che per la propria esistenza implicano il dominio o l’allontanamento delle altre differenti. Ma per farlo, è necessario che gli spazi che si propongono tale obiettivo si caratterizzino per un reale e riconoscibile radicamento nella realtà. E che nella visibilità di tale caratteristica si giochi la credibilità delle persone che li animano e li propongono. Persone, in altre parole, giudicate credibili proprio perché riconosciute per il loro fare, per il mantenimento di una coerenza tra affermazioni, fare e comportamenti quotidiani.
Questa è stata, a mio parere la vera intuizione della Fondazione Basso quando ha proposto l’idea del Forum ad un gruppo di persone che nell’ambito del loro ruolo, studio, professione, impegno civile e sociale già si muovevano su questo impianto e che nella proposta del Forum hanno visto la possibilità di partecipare e co-costruire un luogo dove intrecciare le loro strade e il loro pensiero in uno spazio di reciproco riconoscimento e valorizzazione. Ponendosi l’obiettivo, sul tema delle disuguaglianze, di informare, far comprendere e proporre policy in grado di essere percepite come utili. Non soltanto, come dice Diletti, un luogo di confronto ma la proposta di una “federazione e un’alleanza sociale, che si dà un obiettivo politico e di conoscenza”.
Sicuramente oggi, anche per il ForumDD, rimane il problema – la problematicità di non facile superamento – di capire come il confronto, le idee e le proposte che si costruiscono possano iniziare a circolare in modo diffuso e raggiungere i territori. Nel modo più ampio possibile ma arrivando a chi oggi si sente abbandonato e tradito, colpito da una crisi che non è stata uguale per tutte e tutti ma ingiusta perché ha permesso ai primi di di accumulare grandi ricchezza e ai più fragili di veder peggiorare e incancrenirsi la loro situazione. L’obiettivo del Forum è raggiungere tutte e tutti quelli che si sono convinti che il problema della loro precarietà, dell’ansia quotidiana che li schiaccia, non siano politiche sbagliate, o la perdita di potere del lavoro, o meccanismi di distribuzione della ricchezza ineguali, ma i penultimi e i vulnerabili, differenti e per questo considerati “nemici” su cui scaricare rabbia, colpe e responsabilità. Sapendo che non possiamo regalare questi sentimenti alla destra etichettandoli come razzismo. Sono parti di popolazione abbandonate e derise che si arrabbiano con chi sta un gradino sotto o compete su sullo stesso gradino aggrappandosi a meccanismi identitari semplici, immediatamente riconoscibili, perchè nessuno prova a ricomporre legami tra persone (e diritti) diversi tra loro che invece di allearsi finiscono per percepirsi e trattarsi da nemici.
Quindi, come suggerisce Mazzonis nel suo intervento, oggi c’è un urgente bisogno che nascano strutture di pensiero nuove, campagne tematiche capaci di durare e influenzare la politica, costringerla ad agire o a rispondere. È c’è bisogno che chi fa campagna e diffusione di dati sui temi della propria ricerca impari e si dedichi molto più e meglio alla comunicazione. Non è cosa da poco ma è la sola strada percorribile per un cambiamento del senso comune e delle politiche pubbliche. Su questa strada ha scelto di collocarsi il Forum.