I limiti dell’industria farmaceutica rispetto all’esigenza di disporre tempestivamente di vaccini o farmaci efficaci in casi come l’attuale pandemia da COVID-19, illustrate nella prima parte di questo articolo pubblicata sullo scorso numero del Menabò, sollecitano a formulare una proposta per cambiare il modello di ricerca e sviluppo dei farmaci. Il perseguimento del profitto tradizionalmente rappresenta per le imprese uno stimolo all’innovazione. Ci sono effetti positivi nel rispetto dei principi di economicità d’impresa in termini di remunerazione degli azionisti, dell’occupazione e dell’indotto nei territori. Ciò che risulta distorsivo nel caso dell’industria farmaceutica è il perseguimento di una agenda di ricerca basata sulla aspettativa di extra-profitti. Tanto più quando questi si basano sulla mancata remunerazione dei fondi pubblici a sostegno della ricerca di base e applicata, persino dei sussidi diretti ai costi di sviluppo all’interno delle stesse imprese. Si tratta di risorse che non vengono restituite alla collettività, impedendo di fatto il perseguimento del valore sociale delle imprese, ossia la tutela della salute per l’intera collettività. Ne deriva una divergenza fra ricerca medica orientata al profitto di monopolio e la ricerca che sarebbe necessaria per la salute.
Questa distorsione potrebbe essere corretta se si creasse, come contrappeso all’industria privata, una grande infrastruttura pubblica che intervenga su tutto il ciclo del farmaco, in senso lato, garantendo processi e prodotti efficaci ed efficienti a tutela della salute pubblica: ricerca, sviluppo, produzione e distribuzione. Una infrastruttura di questo tipo dovrebbe ottimizzare sinergie imprescindibili con i sistemi sanitari nazionali, da un lato, e con tutti i principali settori complementari lungo la filiera, dall’altro – ai fini della disponibilità di prodotti funzionali indispensabili, quali presidi medici, elettromedicali, strumenti diagnostici, kit di protezione individuale e sistemi di sanificazione.
Non si tratterebbe quindi di una ulteriore agenzia di regolazione del mercato (quali quelle già esistenti), ma di una vera impresa pubblica ad alta intensità di conoscenza, nello spirito della proposta n.2 del Forum, cui rimandiamo. Un “CERN biomed”: sia hub fisico per migliaia di ricercatori residenti, che hub virtuale per ampie collaborazioni scientifiche globali. Questa infrastruttura dovrebbe… Continua a leggere su eticaeconomia