Per contenere l’emergenza COVID-19, procedere facendo tamponi a tutta la popolazione è costosissimo ed è inutile, perché è statico e può generare panico senza innescare risposte sensate. Il tampone ai sintomatici o a categorie esposte ai contatti è ragionevole, ma è sbilanciato. Sarebbe invece utile e relativamente economico usare i tamponi anche per consolidare un campione dinamico e statisticamente bilanciato, un “Sanitel”, che ci consenta un monitoraggio affidabile della situazione sanitaria e delle correlazioni con le diverse misure adottate.
Un articolo di Piero De Chiara*
A mio avviso il tema più importante non è il tracciamento dei contagiati. La particolarità irripetibile del caso coreano non sta solo nella diffusione degli smartphone o nella pianificazione della risposta all’emergenza avviata già ai tempi della prima SARS. In Corea è stato subito chiaro quale fosse il primo focolaio, ciò che ha consentito di mappare gli spostamenti dei partecipanti prima e dopo quella ampia adunata religiosa.
In Italia e in tutti gli altri paesi non si conosce il focolaio e comunque è troppo tardi per tracciare gli spostamenti nei venti giorni precedenti.
Anche la geolocalizzazione dei positivi conclamati (su base più meno volontaria) è un falso obiettivo. Il numero dei contagiati è purtroppo molto più elevato di quello che viene aggiornato dalla protezione civile nella rituale conferenza delle 18. Non abbiamo il controllo dei numeri: contagiati, guariti, asintomatici infettivi o no. Solo il numero assoluto dei decessi è verosimile, anche se ormai risente dello stress a cui è sottoposto il sistema sanitario.
È però possibile e utile avviare, in pochi giorni, un monitoraggio affidabile, base necessaria per poi misurare le correlazioni con vari pattern e soprattutto con le strategie di risposta adottate, su base nazionale e soprattutto locale, perché anche una pandemia è composta di migliaia di aree diverse. L’Italia stessa non è omogenea. Bergamo non predice quello che avverrà a Lecce. Le misure (e gli errori) applicate in un caso non sempre si adattano a tutti i casi.
Un monitoraggio statistico differenziato ha bisogno di una base campionaria bilanciata. Il tampone generalizzato è costosissimo ed è inutile, perché è statico e può generare panico senza innescare risposte sensate.
Il tampone ai sintomatici o a categorie esposte ai contatti è ragionevole, ma è sbilanciato e non può essere utilizzato come campione. Sarebbe invece utile e relativamente economico usare i tamponi anche per consolidare un campione dinamico e statisticamente bilanciato (un “Sanitel” modello Auditel, per capirci, ma molto più geolocalizzato). A quel punto avremo finalmente un monitoraggio affidabile della situazione sanitaria e delle correlazioni con le diverse misure adottate.
Persino in assenza di un auspicabile campionamento della popolazione statisticamente bilanciato, abbiamo molti dati grezzi o meglio li hanno i grandi OTT e le compagnie telefoniche. Sarebbe molto utile già poter trattare questo sterminato patrimonio di dati ai fini sanitari (e sociali, ci tornerò). Non è neanche necessario espropriare questi dati e gli algoritmi sviluppati e utilizzati a fini commerciali. Serve di meno e di più. È sufficiente che algoritmi pubblici (nel doppio significato del termine) possano interrogare tutte le basi dati private; i cosiddetti algoritmi nomadi che ri-usano i dati senza prelevarli, ma solo per rispondere a domande specifiche. Per le questioni di evidente interesse pubblico va riconosciuta la possibilità di incrociare tutte le banche dati rilevanti, una prerogativa che non hanno neanche i principali OTT.
Occorre scegliere le domande e saperle fare. E poi applicare modelli pubblici di Intelligenza artificiale: le funzioni obiettivo del pubblico sono diverse da quelle sviluppate per uso commerciale.
Per fare pochi esempi: quale è il tasso R° di ciascuna fascia di età, incrociata con le condizioni sociali? Quali i rispettivi tassi di mortalità? Come sono correlati con varie forme di mobilità? O con alcuni provvedimenti particolarmente dolorosi come privare i moribondi dell’ultimo saluto, i bambini poveri della mensa scolastica, gli anziani soli della passeggiata e della panchina al parco? Per quanto tempo e a quale costo?
Sono decisioni politiche che -prima o poi- dovremo prendere sulla base di tutti i dati disponibili anche predittivi, della massima capacità di calcolo e della discussione più ampia possibile.
Decisioni altrettanto importanti dovremo poi prendere per riprogettare la società dopo questa epidemia e prima della prossima.
L’articolo di Bruno Saetta insiste molto sulla base normativa esistente che non consente alcuni provvedimenti invasivi. Ha ragione, relativamente alla tutela dei dati personali, tanto più in presenza di un GDPR recente e ancora privo di giurisprudenza interpretativa. Ma relativamente ai dati non-personali (che sono più numerosi e preziosi, ai nostri fini) molto si può fare con la legislazione vigente, proprio perché non è aggiornata e quindi contraddittoria e interpretabile.
– Con lo stato di emergenza, le golden power e altri attrezzi arrugginiti si può ad esempio ordinare a Google o TIM di fornire gli interfaccia di interrogazione delle loro basi dati.
– Si può ordinare di prestare la potenza di calcolo, quella che serve in attesa che l’opportuno investimento nei 5 supercalcolatori europei sia utilizzabile.
– Si potrebbe anche monitorare il sentimento della popolazione, prevedere, comune per comune, le ondate di panico, di odio, la tenuta della coesione sociale. Ma prima di attivare questo terzo ordine è bene chiarirci su quali domande vogliamo fare e su chi detiene le risposte. Alcuni privati e forse alcuni stati stanno probabilmente già misurando e indirizzando i sentiment.
I primi due ordini devono invece essere immediatamente esecutivi. Le imprese possono fare ricorso o frapporre ostacoli, andando incontro a un contenzioso che si svolgerebbe in inevitabile procedura di urgenza, anzi di emergenza. Conosco le grandi imprese: in questo clima preferiranno non creare nuova normativa e giurisprudenza. Conviene loro essere acquiescenti, per evitare sentenze e leggi più dure.
Non solo gli stati nazionali, ma persino amministrazioni pubbliche più deboli, come i Comuni, le Regioni o più lente come la UE, devono sapere che questo è il momento di negoziare con gli oligopoli digitali da una posizione di forza e di necessità. Se non ora, quando?