L’ipotesi di escludere dall’universo del settore pubblico allargato le grandi imprese pubbliche nazionali (IPN), il cui meccanismo di allocazione sarebbe fondamentalmente il mercato e non una decisione politica, impone di riaprire il dibattito sul ruolo dell’impresa pubblica e di discutere i grandi indirizzi politici che devono guidare l’azione delle società a controllo pubblico e della missione che deve essere ad esse affidata
La proposta recentemente avanzata[1] dall’Osservatorio sui Conti pubblici Italiani (CPI) di escludere dall’universo del settore pubblico allargato le grandi imprese pubbliche nazionali, il cui meccanismo di allocazione sarebbe fondamentalmente il mercato e non una decisione politica, sembra fondata su una singolare inversione logica, assumendo l’effetto di una distorsione come paradigma del corretto operare.
Dovrebbero essere escluse – dicono gli autori – le spese di società come Eni, Enel, Poste Italiane e Leonardo che sono quotate in borsa e non operano in base a obiettivi di perequazione geografica, bensì di profittabilità e che devono comunque cercare di soddisfare la domanda effettiva per i beni e servizi prodotti. È quindi pressoché inevitabile che la spesa di queste società sia maggiore nelle regioni più ricche, in cui la domanda è più elevata e le opportunità d’affari sono tipicamente maggiori. Consegue che considerare tutta la PA allargata è discutibile, in quanto include delle spese il cui meccanismo di allocazione è fondamentalmente il mercato e non una decisione politica.
Tale tesi impone di riaprire il dibattito sul ruolo dell’impresa pubblica e solleva il grande tema indicato dal Rapporto “Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane, Un’opportunità per guidare lo sviluppo del Paese”, della Commissione Imprese e Sviluppo, promossa dal Forum Disuguaglianze e Diversità, pubblicato a luglio, quello cioè di discutere pubblicamente i grandi indirizzi politici che devono guidare l’azione delle società a controllo pubblico e della missione che deve essere ad esse affidata.
Le Imprese Pubbliche Nazionali (IPN) giocano un ruolo rilevante nei processi di crescita e sviluppo economico, rappresentando – con riferimento al Settore Pubblico Allargato – circa il 15,0 per cento del totale della spesa pubblica e il 37% della spesa in conto capitale, aggregato in cui si posizionano come primo soggetto erogatore. Esse operano in settori di notevole interesse strategico (energia, trasporti, manifattura di sistemi ingegneristici complessi ad alto contenuto tecnologico, distribuzione) e svolgono un ruolo cruciale di avanguardia nella trasformazione digitale e nella transizione ambientale.
Ciononostante, come ben segnala il Rapporto, l’impresa pubblica è stata abbandonata a se stessa in assenza di un disegno di politica industriale di respiro unitario. Si è così lasciato praticamente mano libera alle IPN di muoversi tra Stato e mercato a seconda della convenienza economica o della opportunità politica. I processi di liberalizzazione in Italia per alcune IPN si sono concretizzati spesso in privatizzazioni formali, con un’attenzione da parte dello Stato che ha riguardato sempre meno le scelte strategiche e sempre più la filiera dei controlli tecnico‐amministrativi e del sistema delle regole.
E’ stata la mancata definizione di missioni strategiche da parte dello Stato nei confronti delle imprese pubbliche e la carenza di un’interazione e di un agire sistemico e coordinato fra le stesse imprese pubbliche a generare un forte sottoutilizzo delle loro potenzialità e la difficoltà a coniugare efficienza interna e obiettivi di interesse pubblico generale.
Il ruolo delle imprese pubbliche – che sono tali proprio perché rimangono sotto l’egida pubblica e sono impegnate nella produzione di servizi pubblici – è pensato nella visione del Forum quale agente strategico di cambiamento e di sviluppo. L’obiettivo è farne strumenti diretti e tecnicamente efficienti per realizzare strategie di medio e lungo termine intorno a obiettivi geopolitici, programmi di ricerca e sviluppo delle tecnologie, strategie di influenza sul grado di monopolio del mercato, perseguendo obiettivi di competitività economica, giustizia sociale e sostenibilità ambientale.
Non c’è dubbio che le IPN siano state corresponsabili di un aumento delle disparità territoriali, perché, inseguendo la redditività degli investimenti, più elevata nel Centro‐Nord, hanno concentrato i propri sforzi nelle aree con una buona dotazione iniziale e ciò ha aggravato il divario generando vere e proprie trappole in termini di sviluppo, in particolare con riferimento alle disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi fondamentali. Emblematico è il caso dei trasporti in generale e del trasporto ferroviario in particolare.
Ma ciò non è inevitabile.
Se si guarda alle dinamiche di investimento delle Imprese Pubbliche Nazionali, il dato più evidente è che la maggior parte di esse incontrano grandi difficolta nel realizzare un’azione redistributiva tra le aree del Paese che non può non essere valutata e computata quando si vanno a misurare gli effetti territoriali della spesa pubblica complessiva. Infatti la maggior parte dei grandi investitori nazionali risultano lontani dal perseguimento dell’obiettivo programmatico di assicurare al Mezzogiorno il 45 per cento della propria spesa in conto capitale[2], in particolare le Ferrovie dello Stato (29% della spesa in conto capitale nel Mezzogiorno), ma anche Leonardo (28%), Rai (17%), Poste (33,8), Enel (30,9).
Appare quindi fondamentale che tra i grandi indirizzi politici che devono guidare l’azione delle società a controllo pubblico e della missione che deve essere ad esse affidata ci sia, insieme all’innovazione tecnologica e digitale e al cambiamento climatico, quella di uno sviluppo inclusivo e sostenibile del Paese; e quindi del raggiungimento di pari opportunità nel diritto all’accesso ai principali servizi pubblici infrastrutturali, rendendo cogente l’obiettivo di destinare una quota congrua della propria spesa in conto capitale al Mezzogiorno.
Le imprese pubbliche dovrebbero avere ruoli, in ambiti ben disegnati, nella strategia di investimento, contribuendo a politiche industriali nazionali “di missione”, coerenti con i grandi indirizzi comunitari e mirando al potenziamento dell’apparato produttivo al Sud come componente importante di un rinnovato sistema economico nazionale.
[1] G. Galli e G. Gottardo, La distribuzione della spesa pubblica per macroregioni, Osservatorio sui conti pubblici italiani, settembre 2020. Obiettivo finale del lavoro è quello di dimostrare che, escludendo alcune voci – tra cui quelle relative alle imprese pubbliche – l’effetto redistributivo della spesa pubblica non è sfavorevole al Mezzogiorno. Questa nota non entra nel merito di tale tesi.
[2] Al fine di avere un riferimento programmatico si continua a tener conto dell’obiettivo finalizzato ad assicurare al Mezzogiorno una quota di risorse ordinarie in conto capitale pari al 30 per cento del totale e al 45 per cento della spesa in conto capitale totale di ciascun soggetto appartenente al settore pubblico allargato.