Seminario “Le disuguaglianze tra i mondi e nei mondi”
Organizzato da ASviS, Forum Disuguaglianze Diversità, Acli e Oxfam
nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile[1]
Roma, 4 Giugno 2018
AVANTI NELLE AZIONI COLLETTIVE PER RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE
Sintesi del Convegno “Le disuguaglianze tra i mondi e nei mondi”
[1] Il Seminario si concentra sugli obiettivi 1) Sconfiggere la povertà e 2) Ridurre le disuguaglianze.
L’evento presentato a Radio Articolo 1 presentato da Vittorio Cogliati Dezza
Cogliere il momento
Le disuguaglianze fra persone e fra territori di una stessa nazione sono tornate da tempo a crescere in Italia e in tutto l’Occidente e sono spesso eclatanti. Nuove pratiche di cittadinanza attiva ed esperimenti di amministrazione pubblica partecipata affrontano sul campo queste disuguaglianze, ma non riescono ancora a trasformarsi in cambiamenti di sistema. I “fuochi di indignazione” scatenati da un senso diffuso di ingiustizia sociale hanno trovato espressione nelle urne elettorali e hanno risvegliato l’attenzione delle classi dirigenti. Ma non hanno dato vita a un disegno collettivo di avanzamento sociale, anzi prefigurano oggi soluzioni regressive che affrontano o mascherano le disuguaglianze con altre disuguaglianze e persino con limitazioni delle libertà. Il momento va colto, scongiurando questi esiti, ma scongiurando anche ogni irragionevole arrocco a difesa dell’insostenibile situazione esistente, come pure l’abitudine italica di cambiare tutto perché nulla cambi. E’ allora necessario che la ritrovata attenzione e la tensione che percorre il paese si traducano in una crescita dell’azione collettiva dei cittadini organizzati, nel suo coagulo attorno a proposte concrete e tempestive di azione pubblica. In linea con questi obiettivi, il Seminario, forte della cornice dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile, ha messo a fuoco alcuni principi di questa azione e ha esplorato un’agenda di possibili soluzioni da valutare, correggere e ampliare, sulle quali rafforzare le alleanze che già esistono su cui costruire convergenze e con cui incalzare con tempestività chi ha responsabilità di governo.
Alcuni principi
Le disuguaglianze che “mangiano il futuro” delle persone hanno molte dimensioni. Spiccano le disuguaglianze di ricchezza privata, che influenzano e riproducono tutte le altre disuguaglianze. E poi tutte le altre, che toccano ogni aspetto della vita: il reddito; le condizioni di lavoro; l’accesso a servizi di qualità e al patrimonio comune, ambientale e urbano; il riconoscimento dei propri valori e aspirazioni; la partecipazione democratica alle decisioni. Sono queste le disuguaglianze di cui abbiamo discusso nel Seminario. Lo abbiamo fatto con attenzione alla dimensione territoriale, di genere e di generazione con cui esse si manifestano: più in alcuni luoghi che in altri; più per le donne che per gli uomini; più per i giovani che per gli altri. Per ogni disuguaglianza considerata abbiamo confrontato diagnosi e ipotesi di intervento. Ma prima ancora abbiamo cercato un terreno comune di punti di vista anche diversi, che può essere riassunto in quattro principi generali, utili a superare equivoci, incomprensioni e alibi e a trovare la strada per convincere e essere convinti. Vediamoli.
Primo. Vogliamo contrastare le disuguaglianze di opportunità e ridurre quelle di risultato (target 10.3 dell’Agenda 2030), perché esse minano la coesione e lo sviluppo della società e la legittimità dei sistemi democratici. Ma soprattutto vogliamo contrastarle perché esse sono, e sono percepite come, ingiustificate, come violazioni della giustizia sociale: il diritto a un “pieno sviluppo della persona umana” (Cost. art.3), inclusivo del godimento oggi e domani della natura di cui siamo parte, è negato o limitato per moltissime persone da ostacoli prodotti dalle istituzioni o dalle pratiche sociali. Nessun alibi, dunque, per tollerare o addirittura apprezzare le disuguaglianze in nome della diversità. Proprio la diversità di ognuno di noi chiede che si rimuovano quegli ostacoli. A ogni persona va data l’opportunità di scegliere il proprio progetto di vita, di esprimere il proprio merito, di non vedersi scippata, preclusa da altri, la speranza del futuro. Al tempo stesso, nessuno deve cadere al di sotto di condizioni socialmente inaccettabili di esistenza: non esistono e non devono esistere “scarti umani”.
Secondo. Questo principio vale per il nostro mondo (occidentale, europeo, italiano o di comunità) e per ogni altro mondo. E’ dunque un passo in avanti dell’umanità che, soprattutto con lo sviluppo dell’Asia, abbiano preso a ridursi le disuguaglianze mondiali. Ed è un peso per tutti noi che una parte rilevante dell’umanità permanga in insostenibili condizioni di povertà, originando migrazioni di massa. Nessun alibi, dunque, per contrastare le “nostre” disuguaglianze accrescendo quelle degli “altri”, con l’argomento che questa sarebbe la sola strada possibile. Non c’è nulla di inevitabile nell’attuale stato delle cose. Sono le politiche ad avere affrontato in modo assolutamente inadeguato le tendenze tecnologiche o globali. Dobbiamo correggere quelle politiche, trasformando in un’opportunità la riduzione delle disuguaglianze degli altri.
Terzo. Redistribuire è necessario e lo Stato deve redistribuire di più e meglio, valutando e accrescendo l’efficacia dell’azione pubblica. Nessun alibi, dunque, per lasciare questa funzione all’azione pur generosa dei proprietari di ricchezze private sempre più grandi. Ma l’onere di ridurre le disuguaglianze non può ricadere sulla redistribuzione, e la redistribuzione stessa deve accompagnarsi ad azioni che accrescano le capacità delle persone. E’ nella fase della creazione della ricchezza e del reddito privati, e in quella dell’accesso alla ricchezza comune e ai servizi essenziali che si formano le disuguaglianze. Sono questi i luoghi primari dove le politiche, nazionali, europee e globali, devono compiere un’inversione di segno e per fare questo è necessario un grande investimento nella pubblica amministrazione, non in nuove regole ma nelle sue risorse umane.
Quarto. L’azione collettiva dei cittadini e dei lavoratori organizzati è necessaria e possibile, nei singoli luoghi e a livello nazionale, europeo e globale. Nessun alibi, dunque, per rinunciare ad agire (“tanto non ci sono spazi per farlo” o “tanto non ci ascolteranno”) o per considerare impossibile un nuovo disegno di avanzamento sociale. L’azione collettiva dei cittadini e dei lavoratori, sollecitando un nuovo e più generoso contributo degli studiosi, può costruire gli spazi che mancano e fare direttamente differenza luogo per luogo. Può diffondere e arricchire la visione delle cose riassunta nei primi tre principi. Può dare un decisivo contributo all’inversione di segno delle politiche pubbliche, sia piegandole alle esigenze delle persone nei luoghi, sia disegnando e mobilitandosi per innovazioni anche radicali dell’azione pubblica.
E quindi?
In coerenza con questi principi, studiosi e esponenti di organizzazioni di cittadinanza attiva hanno articolato diagnosi e proposto ipotesi concrete di intervento. Le riassumiamo per titoli. I mesi futuri consentiranno di metterle alla prova del confronto e dell’analisi, approfondendole e integrandole con altre proposte già avanzate dall’ASviS. Le organizzazioni promotrici dell’incontro si impegnano a farlo.
Disuguaglianze di ricchezza. Le disuguaglianze di ricchezza sono quelle che hanno conosciuto l’aumento più forte nell’ultimo trentennio. Anche nel nostro paese. Non c’è una soluzione unica per affrontarle e ridurle, ma un tridente, che il Seminario ha messo sul tavolo: una punta per ogni fase della formazione della ricchezza.
All’inizio del processo sta il ruolo che lo Stato (nazionale ed “europeo”) già ha nel cambiamento tecnologico, visto che è il principale finanziatore della ricerca che ne è la base. Bene, è suo compito darsi cura dell’impatto sociale e ambientale di ciò che finanzia. Deve trovare le forme per promuovere la ricerca e l’innovazione che promettono: migliori e più sicure condizioni di lavoro, maggiori opportunità di pieno impiego della forza lavoro, ed effetti sulla qualità dei prodotti godibili da tutti – si pensi al progresso nei farmaci, nella prevenzione e nelle cure – e tali da mantenere aperte le opzioni di scelta di tutti i consumatori. In altri termini: bene l’innovazione e l’automazione, se diretti a questi obiettivi e/o se i relativi profitti sono condivisi e impiegati per raggiungere questi obiettivi. E’ allora urgente valutare gli strumenti di una “nuova politica industriale” che favoriscano questo ruolo pubblico nell’innovazione: un utilizzo strategico della domanda pubblica di beni collettivi (public procurement); una ritrovata tutela della concorrenza che impedisca la monopolizzazione della conoscenza, sia attraverso la regolazione, sia attraverso un rinnovato ruolo delle imprese pubbliche, ridisegnandone la governance; nuove opportunità per filiere di piccole e medie imprese, ancora assai forti sul piano internazionale, per lo sviluppo di innovazioni adattive. La dimensione appropriata di queste azioni è in larga misura l’Europa, ma l’Italia, per via delle sue specificità produttive e sociali, deve e può con successo puntare sulle applicazioni delle nuove tecnologie ad ambiente e salute: può farlo se, prima di tutto, impara a scovare la ricchezza che oggi si nasconde e assicuri che, attraverso le imposte, essa contribuisca allo sviluppo giusto e sostenibile.
Più a valle, nell’assunzione delle decisioni di investimento, occorre lavorare ad un riequilibrio del ruolo del lavoro nel suo confronto negoziale con chi controlla le imprese. Vanno sviluppate soluzioni che diano al lavoro un maggiore peso nel governo societario, anche promuovendo soluzioni partecipative che esistono in altri capitalismi (meno disuguali) e che l’Italia ha peraltro da sempre sperimentato con successo. Si può entrare negli attuali meccanismi di remunerazione dei managers, introducendo indicatori di responsabilità sociale e ambientale. Ed è necessario esplorare misure che scoraggino trasferimenti generazionali d’impresa privi di giustificazione economica e che diano davvero a tutte le capacità di potersi esprimere.
Ancora più a valle, va giocato con forza il ruolo di orientamento dell’offerta che possono avere i cittadini dal lato della domanda, come consumatori, una leva che può oggi avvantaggiarsi della società dell’informazione. Esistono pratiche che vanno in questa direzione, premiando le produzioni in base all’impatto sociale e ambientale, attraverso i consumi finali o gli investimenti di Fondi di investimento. La concorrenza internazionale al ribasso delle condizioni ambientali e di lavoro, fonte importante di disuguaglianze, può inoltre essere contrastata disegnando imposte al consumo legate al mancato rispetto di quelle condizioni, assieme alla ricerca di nuove forme di solidarietà internazionale del lavoro.
Disuguaglianze di accesso a servizi essenziali e alla ricchezza comune. Si tratta di dimensioni fondamentali delle disuguaglianze di oggi, fonte primaria del diffuso senso di ingiustizia. Per tutti i servizi essenziali, a cominciare da salute e istruzione, e per la cura dell’ambiente è necessario combinare una forte azione pubblica nazionale con la capacità di adattare questi servizi a caratteristiche e bisogni dei territori sulla base di forme operative di partecipazione dei cittadini. Si è iniziato a farlo nelle aree interne con una Strategia Nazionale. Dovrebbe essere l’obiettivo di una nuova, urgente Agenda urbana nazionale. Ma sono anche necessari interventi orizzontali, di cui il Seminario si è occupato.
Per quanto riguarda in particolare i servizi della salute, il paradosso italiano è rappresentato da un sistema sanitario giudicato fra i migliori al mondo in termini di efficacia media, a cui corrispondono tuttavia eclatanti disuguaglianze di salute fra luogo e luogo – fra una Regione e un’altra, fra aree urbane e rurali, fra centri e periferie delle città: nei tempi e nella qualità di diagnosi e visite specialistiche, interventi chirurgici, radio e chemioterapia, e molto altro ancora. Queste differenze vanno affrontate con strategie di comunità basate su analisi territoriali delle caratteristiche di queste disuguaglianze e delle loro determinanti sociali, come nell’intervento pilota della zona di Vallette a Torino. Ma ciò potrà avere natura sistemica solo se la responsabilità nazionale per il conseguimento dei livelli essenziali di servizio viene rafforzata: serve, e molte organizzazioni di cittadinanza chiedono, un rafforzamento del presidio costituzionale che investa lo Stato della responsabilità di intervenire in ogni luogo in cui il diritto individuale alla salute previsto dall’articolo 32 sia violato.
Divari gravi esistono anche nel sistema di istruzione, sin dalla scuola dell’infanzia e dalla parte obbligatoria del percorso scolastico. L’attenzione si è concentrata sull’infanzia e l’adolescenza, ricercando prime lezioni dall’avvio del “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile” frutto di un accordo fra Governo e Fondazioni di origine bancaria e finalizzato a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Questa esperienza, che apre spazi al ruolo dei cittadini organizzati nella fornitura di servizi di prossimità, e sui cui risultati è stato costruito un significativo impianto valutativo, può servire anche a creare mobilitazione su questo aspetto delle disuguaglianze, erroneamente trattato come un sintomo e che è invece una delle cause primarie dell’attuale disagio sociale.
La capacità di godere del patrimonio ambientale e di preservarlo affinché anche i nostri figli e nipoti ne godano, differisce in modo radicale fra le persone: una disuguaglianza nell’accesso alla ricchezza comune che tende a cumularsi e moltiplicarsi con la disuguaglianza economica. Anche su questo fronte si muovono in Italia mille esperienze di cittadini a vantaggio della collettività. Esse cambiano il senso comune luogo per luogo e influenzano i livelli locali di governo, ma non risalgono fino al piano politico e non si traducono in cambiamenti sistemici dell’azione pubblica. E’ possibile farlo, cominciando da politiche fiscali che cambino le convenienze soprattutto per le fasce meno abbienti della popolazione.
Reddito insufficiente per una vita dignitosa. Dal dicembre 2017, realizzando finalmente una riforma strutturale e nazionale delle politiche sociali, l’Italia sperimenta uno strumento di contrasto alla povertà denominato Reddito di inclusione (REI), evoluzione di due precedenti strumenti introdotti nel 2014-2015. Si tratta di un beneficio economico mensile e di un “progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa”. Ne hanno diritto le famiglie residenti al di sotto di determinate soglie di reddito e di patrimonio e i cui componenti soddisfino alcuni requisiti (almeno un minorenne ovvero una persona con almeno 55 anni in stato di disoccupazione, etc.): rispetto a 5 milioni di famiglie in “povertà assoluta”, ne copre circa 2,5 milioni.
La stessa Alleanza contro la povertà, che si è battuta per questa riforma, considera il REI come primo passo verso uno strumento esteso a tutti i poveri, e adeguato nell’importo (oggi circa 210 euro al mese, contro i 400 ritenuti necessari dall’Alleanza) e ritiene necessario rivedere alcuni aspetti (come l’attuale previsione di un’interruzione dopo 18 mesi) su cui il Seminario ha fatto emergere criticità. Da una prima valutazione dell’attuazione, emerge poi la questione di massima delicatezza oltre a quella dell’informazione inadeguata dei cittadini: l’attivazione, con i Fondi stanziati, dei servizi sociali di accompagnamento attraverso la selezione di risorse umane di qualità. Ma emerge anche un messaggio sempre trascurato in tutte le riforme di questo paese: che solo assicurando l’impegno e i tempi per l’attuazione di una legge e monitorandola e assicurando su essa un pubblico dibattito, si può capire come correggerlo e renderlo efficace; che gli operatori oggi al lavoro nei territori stanno imparando a progettare; che un’interruzione o incertezze nel processo di attuazione bloccherebbero questo processo. Pertanto, l’obiettivo del Movimento Cinque Stelle di muoversi verso un “reddito di cittadinanza” (esteso all’intero universo dei poveri e anche a coloro che non hanno lavoro) può tradursi in un’opportunità – fermo restando che non vanno confusi strumenti per assicurare condizioni minime di vita e strumenti per innalzare l’occupazione – solo se il REI sarà comunque considerato come il primo passo verso ogni altro obiettivo, evitando incertezze sull’oggi e anzi motivando chi oggi gli sta dando attuazione come avanguardia e preziosa fonte di informazione e apprendimento sul che fare.
Disuguaglianze nel riconoscimento e nella partecipazione democratica. Alle disuguaglianze economiche e sociali in crescita si aggiungono oggi forti disuguaglianze di riconoscimento: il riconoscimento dei propri valori, del proprio merito, delle proprie aspirazioni, della propria identità. Riguarda fasce sociali di volta in volta fuori dalla visione egemone del futuro (oggi, certamente, gli operai delle grandi fabbriche, dai quali pure dipende l’essenziale capacità di esportazione del paese) e gli abitanti di territori usciti dall’attenzione della cultura dominante e delle politiche (abitanti delle aree rurali, prima di tutto). In passato, questa disuguaglianza di riconoscimento si è unita con la disuguaglianza sociale di classe in battaglie di avanzamento sociale. Questo incontro è avvenuto attraverso processi di partecipazione diffusa in cui i partiti svolgevano un ruolo centrale, attraverso il loro ruolo di rappresentanza. Alla crisi dei partiti, che ha spezzato questi spazi unificanti, si è accompagnato l’emergere di forme nuove di partecipazione diretta dei cittadini che non si associano alle tradizionali forme di rappresentanza politica o di interessi. E contemporaneamente è cresciuta una forte domanda di riconoscimento delle differenze. Queste nuove forme configurano una partecipazione politica non solo alla costruzione del sistema politico, ma al disegno, alla costruzione, all’attuazione delle politiche pubbliche. Le organizzazioni di cittadinanza attiva che raccolgono e danno una struttura a queste nuove forme hanno oggi la “responsabilità rafforzata” di assicurare che i più vulnerabili non siano solo i beneficiari delle loro azioni ma trovino in esse lo spazio e il ruolo per concorrere a battersi; di promuovere, in altri termini, la ricomposizione dei diversi profili della disuguaglianza.
La necessità di una ricomposizione della lettura delle disuguaglianze è stata approfondita nel Seminario con attenzione alle donne e ai giovani. Quanto all’attenzione alle disuguaglianze di genere, è stato sottolineato che essa non può esaurirsi nell’obiettivo del tasso di occupazione femminile (migliorato dal 2007 a oggi di 3 punti %). Ma deve porre attenzione alla divaricazione profonda avvenuta nel mondo femminile: con un contemporaneo forte calo del tasso di occupazione della fascia di età 25-34; una marcata differenziazione per titolo di studio; fortissimi divari territoriali, assai più forti che per i maschi. Questa frammentazione sfida la costruzione di battaglie unitarie. Un senso di mancato riconoscimento riguarda anche i giovani, come confermano le statistiche comparate con altri paesi. Le modalità di reclutamento del lavoro, il peso che le condizioni di nascita (status e patrimonio familiare) hanno nell’opportunità di espressione del proprio merito, la chiusura e le modalità di riproduzione del mondo del professionismo spiegano questo convincimento e inducono all’alternativa fra lasciare il paese o sottomettersi a lavori inadeguati, a trattamenti a volte mortificanti e a riprodurre le regole del gioco subite. Anche in questo caso non è nella chimera – forse all’uopo costruita – del “conflitto generazionale” che va trovata la via di uscita, ma nella ricomposizione delle diverse dimensioni della disuguaglianza.
Si è chiuso sull’informazione statistica. La qualità e la tempestività dell’informazione su tutte le disuguaglianze – sulla ricchezza, sui servizi, sulla partecipazione, e sempre con la massima attenzione alla disaggregazione territoriale – anche con il ricorso a un “censimento continuo” che è nelle possibilità delle attuali tecnologie, sono requisiti fondamentali per il disegno e per l’attuazione delle politiche e perché le nuove forme di partecipazione possano costruire il confronto acceso, aperto, informato e ragionevole di cui abbiamo bisogno. La scelta di cosa un paese misura è la prima e immediata cartina di tornasole dei suoi obiettivi. E’ necessario e urgente un impegno del governo in questa direzione.
![Schermata 2018-06-08 alle 10.30.43](https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2018/06/Schermata-2018-06-08-alle-10.30.43.x19511.png)
LE DISUGUAGLIANZE TRA I MONDI E NEI MONDI
Lunedì 4 giugno 2018
Sala Tempio di Adriano
Camera di Commercio di Roma, Piazza di Pietra
Ore 9.30 – 17.30
PROGRAMMA
Ore 9.30-9.45 – Apertura lavori: Marisa Parmigiani (Fondazione Unipolis)
Ore 9.45-10.15 Disuguaglianze e povertà: un quadro mondiale Prof. Branko_Milanovic
Ora 10.15-11.30 I sessione: Disuguaglianze di ricchezza
Interventi:
Influenzare il cambiamento tecnologico? – Mario Pianta (Un. Urbino e Sbilanciamoci)
IL ruolo del lavoro nel governo d’impresa – Lorenzo Sacconi (Università Trento)
E quindi? Leonardo Becchetti (Università di Roma Tor Vergata)
Presiede: Dario Di Vico (Giornalista, Il Corriere della Sera)
11.30 – 13.00 II sessione – Disuguaglianze di accesso a servizi qualità e al benessere collettivo
Interventi:
Il diritto alla salute indipendentemente da dove si vive – Annalisa Mandorino (Cittadinanzattiva)
I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – Carlo Borgomeo (Presidente Fondazione Con il Sud)
Il diritto al buon vivere – Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente)
E quindi? Nunzia De Capite (Caritas Italiana)
Presiede: Raffaela Milano (Save the Children)
13.00 – 13.15 Intervento istituzionale
13.15 – 14.15 Lunch break
Ora 14.15 – 15.15 III sessione di lavoro: Povertà e Reddito di Inclusione (ReI): a che punto siamo?
Interventi:
Il Rei, attuazione e prospettive – Cristiano Gori (Alleanza contro la Povertà)
E quindi? Chiara Saraceno (Sociologa)
Presiede: Andrea Morniroli (Cooperativa Dedalus)
15.15 – 16.45 IV sessione – Disuguaglianze nel riconoscimento e nella partecipazione democratica
Interventi introduttivi:
Riconoscimento, partecipazione politica e rappresentanza Alfio Mastropaolo (Università di Torino)
Disuguaglianze di genere, Linda Laura Sabbadini (Istat)
Disuguaglianze generazionali, Paola Vacchina (Presidente IREF – ACLI)
E quindi?: Giovanni Moro (Fondaca)
Presiede: Roberto Schiattarella (Fondazione Basso)
16.45 – 17.30 Apprendimento/I messaggi della giornata
Fabrizio Barca (Forum Disuguaglianze Diversità)
Enrico Giovannini (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS)
Roberto Barbieri (OXFAM)
Presiede: Gianni Bottalico (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS)
La sintesi è interessante anche per il fatto di proporsi come documento aperto, su cui raccogliere contributi.
In attesa di vedere la registrazione degli interventi mi permetto di segnalare due elementi, a mio parere critici.
Il primo sono i passaggi sull’opportunità e sul merito. Mi fa piacere trovare qui la prima almeno messa insieme a uguaglianza di risultato, ma troppo forte è la narrazione sull’uguaglianza delle opportunità e sulla meritocrazia per considerare questa presenza come sufficiente. E’ incredibile per me osservare, a destra come a sinistra, come la retorica della meritocrazia abbia dispiegato le sue vele, equivocando così palesemente il pensiero di Michael Young che ne coniò l’espressione, con prospettiva ben diversa.
Non sto dicendo che rinvengo qui lo stesso inquinamento, tuttavia l’occorrenza multipla del concetto di merito un po’ mi preoccupa.
Mi fa invece molto piacere cogliere il respiro complessivo sull’obiettivo: il superamento della disuguaglianza deve essere per tutti, non solo per noi, per il nostro Paese, per la nostra comunità, magari a scapito di altre. Altrimenti non è.
Il secondo elemento critico, proprio per questa necessità del superamento per tutti, è l’assenza fra le dimensioni considerate della condizione di disabilità, che è un forte agente generatore di disuguaglianza. Ora io non pretendo e non voglio che si aggiunga un’altra voce al catalogo, non è questo il punto. Mi sembra che riuscire a considerare nell’analisi della situazione e nell’individuazione di possibili prospettive anche la condizione delle persone con disabilità, letta come paradigma della condizione di fragilità dell’uomo, sia una prospettiva contemporaneamente eticamente necessaria e utile. Anche per non rischiare di generare “scarti”, sia pur involontariamente. Questo aggiunge certamente complessità. Ma credo che in questo spazio di confronto non si sia voluto fuggire dalla complessità, da quello che ho letto nelle conclusioni e in altri interventi dei relatori.
Grazie dell’occasione di confronto.
Antonio Bianchi