![Schermata 2019-09-10 alle 14.10.17](https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2019/09/Schermata-2019-09-10-alle-14.10.17.x19511.png)
The Economist, settimanale leader d’informazione politica ed economica internazionale, afferma, dalla copertina del suo ultimo numero e senza mezzi termini che le disuguaglianze non sono ciò che sembrano (e di cui tutti parlano), sono “illusions“. Secondo la rivista britannica, negli Stati Uniti le stime di disuguaglianza di noti studiosi come Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman sarebbero esagerate e verrebbero contraddette da studi più recenti. In Europa, invece, i dati non permetterebbero di individuare alcuna tendenza certa delle misure di disuguaglianza economica. Da queste evidenze, la rivista estrae il segnale di una grande “incertezza” su come stanno davvero le cose. Ma a ben guardare, e paradossalmente, proprio quei diversi dati e quegli stessi studi citati ci regalano anche una “certezza”: che dagli anni ’80 le disuguaglianze economiche sono cresciute sia in USA che in larga parte dell’Europa, Italia inclusa.
Il merito dell’editoriale di The Economist è aver messo alla luce, in maniera eloquente e autorevole, un dibattito accademico in corso sulla natura incerta delle stime di disuguaglianza di reddito (tutto ciò che guadagnamo ogni anno dal lavoro, dall’attività d’impresa o come rendimento degli investimenti finanziari) e di ricchezza (il valore totale dei patrimoni immobiliari e finanziari al netto di tutti debiti). La rivista si focalizza in particolare sulle misure, assai usate di recente, che confrontano quanto reddito e quanta ricchezza si concentrano nelle mani delle elites, ovvero dei segmenti più ricchi della popolazione (ad esempio, l’1% più ricco), portando l’attenzione sulla molteplicità di fattori alla base delle differenze di stima. Lo sguardo è rivolto soprattutto agli Stati Uniti e a una ricerca di due studiosi del Tesoro e del Congresso americano, Gerald Auten e David Splinter, che evidenza come la concentrazione di reddito sia aumentata molto di meno di quanto stimato da Piketty, Saez e Zucman in un altro studio, e addirittura potrebbe non essere aumentata per nulla se si considera l’effetto redistributivo totale dell’intervento dello Stato attraverso le imposte, i trasferimenti e la fornitura di servizi e di beni pubblici. A rendere la diatriba fra i due gruppi di studiosi più interessante è aver utilizzato in larga misura le stesse banche dati.
È importante capire come questi studi si differenzino dalla letteratura esistente sulle disuguaglianze di reddito. L’oggetto delle analisi è la distribuzione di tutto il reddito nazionale, molto vicino, per intendersi, alla definizione di prodotto interno lordo. Le stime utilizzano tutte le informazioni dichiarate o comunicate automaticamente al fisco come base per raggiungere una definizione molto più ampia di reddito stimata nella contabilità nazionale. Le analisi partono dal presupposto che i dati di origine fiscale sono parziali perché molti redditi sono evasi e altri non sono dichiarati in quanto esenti da tassazione. Ad esempio, quasi tutte le plusvalenze sul valore del patrimonio immobiliare o finanziario non vengono mai tassate se non al momento della vendita. Altri redditi, invece, non sono distribuiti direttamente ai lavoratori ma sono pagati dai datori di lavoro (si pensi ad alcuni contributi pensionistici). Altri redditi ancora sono direttamente imputati, come l’affitto che si dovrebbe pagare se non si fosse proprietari di casa; anche i profitti di impresa non distribuiti agli azionisti, reinvestiti in azienda oppure confluiti nel pagamento di imposte sui profitti di impresa, sono considerati redditi individuali ai fini di questo esercizio.