Uno studio pubblicato dallo ZEW ha analizzato gli effetti dell’automazione sul mercato del lavoro europeo nell’arco di un decennio. Contrariamente al mito che vuole l’innovazione tecnologica come principale causa di disoccupazione, si è trovata una correlazione positiva tra meccanizzazione dell’industria e aumento di domanda, con un dato positivo di 12.6 milioni di nuovi posti di lavoro.
Un contributo di Giulio Coppola*
I recenti e oltremodo sensazionalizzati risultati ottenuti nel campo dei sistemi intelligenti, capaci di simulare una quantità di comportamenti umani sempre maggiore, hanno riportato il tema dell’automazione della produzione di beni e servizi al centro dell’attenzione pubblica. Sfortunatamente, tale discussione è stata eccessivamente semplificata, con la nascita di due posizioni dominanti diametralmente opposte. Da un lato si assiste alla crescita di un sentimento neo-luddista, che guarda con preoccupazione allo sviluppo di tecnologie capaci di rendere sempre meno necessaria la presenza umana nei processi produttivi. A tale concezione si oppongono i profeti dell’automazione, portatori di una visione ingenuamente positiva circa i suoi effetti sul mercato del lavoro e l’economia in generale. Il rischio di una tale opposizione è quello di polarizzare completamente il dibattito, impedendo la nascita di una posizione intermedia capace di considerare tanto le opportunità quanto i rischi costituiti da tale fenomeno.
Un contributo in tal senso è rappresentato dalla letteratura economica che, tramite recenti analisi degli effetti dell’automazione dei compiti di routine (RRTC, routine-replacing technological change) sulla domanda aggregata di forza-lavoro, offre spunti di riflessione non banali sul tema. Di particolare interesse è lo studio condotto da Gregory, Salomons and Zierahn riassunto nel saggio “Racing With or Against the Machine? Evidence from Europe”, in cui si analizzano gli effetti macroeconomici del RRTC in Europa nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2010. Basandosi su ricerche precedenti, si sono individuati i tre modi in cui il cambiamento tecnologico influenza la domanda di lavoro: il primo e più evidente è la diretta sostituzione di lavoratori impiegati in operazione di routine con macchinari; il secondo è la diminuzione del prezzo dei beni, che comporta maggior produttività e guadagno per gli industriali, portando ad una domanda di manodopera addizionale; il terzo riguarda le ricadute che tale reddito aggiuntivo causa nelle regioni interessate dall’automazione. Tali entrate vengono infatti parzialmente utilizzate per l’acquisto di servizi nelle zone in questione, generando nuovi posti di lavoro nel settore terziario a causa dell’incremento di domanda.
Comparando stime teoriche e dati empirici, lo studio ha riscontrato come l’automazione abbia causato un aumento complessivo della domanda di lavoro: su 23 milioni di posti creati in Europa nel lasso di tempo considerato, si stima che un massimo di 11,6 milioni di essi siano dovuti al RRTC. Trascurando gli effetti positivi per l’occupazione nei servizi, si è visto come a fronte di una diminuzione di 9,6 milioni di lavoratori causata dalla sostituzione uomo-macchina, la sola domanda di beni causata da questa stessa ha portato alla creazione di 8,4 milioni di nuovi posti, pressappoco ammortizzando l’impatto sociale del cambiamento tecnologico.
Pur riconoscendo come l’automazione in sé non sia una minaccia per i lavoratori, ma anzi comporti una serie di ricadute positive per gli stessi, gli autori della ricerca ne hanno voluto sottolineare la natura fortemente economica e dunque teorica. In particolare, essi riconoscono come la domanda addizionale di lavoro non si traduca nell’immediata creazione di altrettanti posti di lavoro: è evidente come l’incremento di produttività dovuto all’automazione si manifesti nel medio-lungo termine e come essa stessa richieda un processo di riqualificazione dei lavoratori. Per quanto riguarda le ricadute sui servizi, è di vitale importanza considerare come effetti significativi si verifichino solo se i redditi frutto del RRTC non provenienti da stipendi siano reinvestiti nelle regioni coinvolte da esso. Qualora ciò non avvenisse, l’incremento di domanda varierebbe da 12.6 a soli 1.9 milioni di posti.
Appare evidente come la sostenibilità sociale della trasformazione tecnologica dipenda largamente dall’operato delle istituzioni statali e sovrastatali. E’ necessario che parlamenti e organi esecutivi intervengano per garantire il processo di riqualificazione dei lavoratori non specializzati colpiti dal RRTC e il reinvestimento delle rendite del capitale tecnologico nelle comunità interessate, attraverso una tassazione equa e misure incentivanti per coloro che investono nelle zone suddette.
L’automazione delle operazioni di routine nei processi industriali non rappresenta un’eventualità, ma una realtà ormai prossima. Lo sviluppo di una coscienza critica nel pubblico è fondamentale affinché gli esiti dell’automazione siano positivi: la sostituzione di tali occupazioni non qualificate, notoriamente logoranti e sottopagate, con lavori più specializzati, così come il reinvestimento dei proventi nelle comunità stesse, sia sotto forma di gettito fiscale che di sviluppo del terziario, rappresenterebbero un’opportunità unica per la lotta alla disuguaglianza sociale.