L’intervento di Elena Granaglia all’evento in streaming “Disuguaglianze nell’epoca delle crisi. Un anno di vita e più utili che mai: le nostre 15 proposte” (25 marzo 2020).
In questo intervento, vorrei portare all’attenzione su tre punti.
Punto 1. A differenza di alcune posizioni polemiche registrate in questi ultimi giorni, i dati sulla diminuzione del finanziamento subita dal SSN sono inequivocabili. Certo, i dati variano a seconda del periodo preso a riferimento, certo i tagli di spesa sono spesso enfatizzati in misura eccessiva concernendo il tendenziale (ossia quello che si sperava di destinare al finanziamento) e non il finanziamento effettivo. Ma alcune evidenze sono inconfutabili. Come rileva l’Osservatorio di Cottarelli, dalla crisi finanziaria del 2008 a oggi la spesa sanitaria è calata in termini reali (prezzi 2000) da 95 miliardi nel 2008 a attorno 82 miliardi nel 2018. Se consideriamo i dati OCSE, oggi la spesa pubblica pro capite in dollari a parità di acquisto è oltre 4900 per Germania e Francia, attorno a 4000 per Gran Bretagna mentre in Italia 3400. In termini percentuali, la spesa pubblica per la sanità è passata dal 91% della media UE 15 a 73% (su tutti questi temi, cfr. anche qui).
Punto 2. Mentre il finanziamento del SSN calava, le prestazioni di sanità privata complementare, ma nei fatti spesso sostitutiva, continuavano a godere di un trattamento fiscale di favore. Il favore è addirittura aumentato. Ricordo come i datori di lavoro possano contribuire fino a 3615 euro all’acquisto di prestazioni sanitarie erogate da fondi sanitari dei lavoratori e questi importi non concorrono a formare il reddito imponibile (né del lavoratore né del datore di lavoro). La legge di stabilità per il 2016 rafforza la convenienza della sanità privata detassando le spese di welfare aziendale legate a premi di produttività fino a 2500 euro e per lavoratori con stipendi fino a 50.000 euro, valori innalzati dalla successiva legge di stabilità rispettivamente a 4000 e 80.000 euro. Le agevolazioni sono spese fiscali: dunque finanziamento pubblico.
Questo finanziamento pubblico rappresenta un finanziamento aggiuntivo (fuori SSN) rispetto a quello di cui già gode la sanità privata convenzionata con il SSN, il cui finanziamento è computato all’interno della spesa del SSN. Il peso della sanità convenzionata è aumentato in questi ultimi anni anche per aggirare il blocco del turnover del personale imposto alle organizzazioni pubbliche.
La sanità privata assicura certamente prestazioni di qualità. I punti problematici sono a) prezzi nel complesso più elevati; b) erogazione di prestazioni singole nella sottovalutazione della presa in carico complessiva, continuità di cura e integrazione socio-sanitaria, ossia della dimensione della medicina territoriale c) incentivi maggiori alla produzione di prestazioni non essenziali.
Punto 3. Finora ho parlato solo di quanto si spende. Le criticità che dobbiamo affrontare riguardano anche il modo in cui si spende. Vi è il profilo, evidente, delle allocazioni fra i settori di spesa all’interno del SSN. Ad esempio, dato un certo finanziamento incrementale, ha senso spenderne gran parte in farmaci, apparentemente innovativi, ma in grado di allungare solo di poco la vita, come è di recente avvenuto, anziché in assunzione di infermieri? Ricordo che l’Italia ha metà degli infermieri per 1000 abitanti rispetto a quanto hanno gli altri paesi dell’Unione Europea, nonostante siamo il paese UE con più anziani. Gli infermieri impiegati, inoltre, hanno spesso contratti esternalizzati e precari. O, ancora, ha senso depotenziare la specialistica, come è avvenuto con un super-ticket per la diagnostica che per molte prestazioni è addirittura più elevato del prezzo degli esami presso i laboratori privati?
Il profilo allocativo è, tuttavia, solo parte della questione. Vi è anche il profilo della visione complessiva di cosa significhi SSN. Il SSN è nato come bene di cittadinanza in senso morale, infrastruttura sociale fondamentale per la salute, aperta a una partecipazione decentralizzata. Questa visione, tuttavia, è andata indebolendosi negli ultimi decenni, a favore di una retorica diffusa sulla superiorità del privato che ha contagiato anche la governance del SSN. Anche nel SSN, abbiamo assistito all’estensione di logiche privatistiche, che privilegiano i saldi benefici-costi finanziari e l’erogazione di prestazioni tecnico-sanitarie individuali a discapito della medicina territoriale, della complessiva cura del paziente e delle finalità di quella minimally destructive care che dovrebbe essere a cuore di un SSN (sul concetto di minimally destructive care come cura che dia il minor fastidio possibile al malato, non aggiungendo carichi non necessari agli oneri che già comporta la malattia, cfr. V. Montori, Perché ci ribelliamo. Una rivoluzione per una cura attenta e premurosa, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2018). Oggi, vediamo medici e infermieri che muoiono in corsia. Li ringraziamo, li onoriamo e li teniamo nel cuore. La disattenzione alle condizioni di sicurezza del lavoro è frutto, tuttavia, anche di queste evoluzioni che vanno cambiate.
Le logiche privatistiche, peraltro, non si sono limitate alla governance. Hanno fatto breccia anche fra i fruitori dei servizi, dove è andato diffondendosi il convincimento secondo cui il fatto di desiderare una prestazione sia di per sé sufficiente a rivendicare un diritto, a prescindere dalla presa in considerazione delle migliori evidenze scientifiche nonché delle conseguenze che la soddisfazione delle domande del singolo potrebbe avere sugli altri. Se il servizio sanitario è bene di cittadinanza, la logica deve essere quella del noi che potremmo essere, dell’individuo chiunque riflesso dell’uguaglianza morale di tutti noi, non quella della sovranità del consumatore. Il che non implica in alcun modo insensibilità ai singoli. I singoli sono sovrani, ma quando si muovono nello spazio di tutti, di tutti devono tenere conto.
Se è così, destinare più risorse al SSN è certamente necessario come sono necessari ribilanciamenti fra i settori di spesa. Ma non è sufficiente. Serve anche un cambiamento culturale. Serve recuperare lo spirito civile di un SSN come bene comune fondamentale per tutti noi.