Intervistiamo Luca Solesin, di Ashoka Italia, responsabile della formazione rivolta ai/alle mentor che hanno seguito i/le 50 giovani campani e calabresi delle scuole superiori selezionati/e da Fondazione Unipolis per partecipare a Bella Storia. La tua, un progetto finalizzato a fornire degli strumenti per valorizzare le proprie potenzialità e prepararsi alla vita adulta e al futuro desiderato
All’interno del progetto Bella Storia. La tua, di cui il Forum Disuguaglianze e Diversità è partner strategico, Fondazione Unipolis, ente capofila, aveva previsto di affiancare ai partecipanti lungo i tre anni di percorso dei e delle mentor ma senza averne volutamente ben definito il ruolo. Un po’ perché per la Fondazione si trattava di un progetto nuovo, rivolto a un target diverso da quelli con cui si era misurata negli anni. Un po’ perché nelle intenzioni della Fondazione c’era quella di avvalersi della expertise di Ashoka Italia, organizzazione internazionale non governativa che si occupa da 40 anni in tutto il mondo di processi di innovazione sociale e delle due cooperative sociali scelte, Kyosei in Calabria e Dedalus in Campania per poter disegnare al meglio questo ruolo di affiancamento ai ragazzi e alle ragazze e lasciare che fossero loro a scegliere le persone più adatte a svolgerlo. Come è andata ce lo racconta Luca Solesin, responsabile dei programmi Giovani e Scuola di Ashoka Italia.
Nel periodo delicato dell’adolescenza, ragazze e ragazzi hanno bisogno di figure di riferimento che assolvano ai diversi compiti e alle diverse sfumature dell’educare. ll mentor di Bella storia che tipo di figura è? Quali sono le sue caratteristiche e che tipo di relazione deve instaurare con i ragazzi e le ragazze di cui si prende cura?
Hai usato diversi termini che aprono delle domande. I mentor e le mentor cosa fanno? Curano o educano? In questo progetto non c’era nulla di predefinito ma é nato tutto dal coordinamento con i e le mentor stessi. Infatti l’idea che abbiamo proposto alla Fondazione Unipolis era quella di provare a costruire, insieme alle figure scelte, il ruolo del e della mentor per provare a coordinare le loro aspettative su sé stessi e su quello che dovevano fare con i ragazzi. Sono state scelte due cooperative, nelle due regioni del progetto, ed è con loro che abbiamo definito il ruolo e i confini d’azione. Il primo step è stato un workshop online ad avvio progetto – a settembre 2022 – per allinearci su che cosa volevamo che fosse il percorso di Bella Storia e quale il percorso dei e delle mentor al suo interno. Abbiamo scritto un Manifesto che racchiudeva le nostre idee. Dopo due anni di lavoro posso dire che la figura del mentor in questo percorso di empowerment è essenziale, perché accompagna i ragazzi e le ragazze, in un programma che li vede coinvolti dai 16 ai 18 anni, un’età cruciale e ricca di cambiamenti. Non è cura, non è educazione, ma è una figura che lavora sull’autoconsapevolezza, affinché i ragazzi e le ragazze sentano di vivere a pieno l’esperienza che stanno facendo, rendendo esplicito quello che è implicito. Ci sono dei pedagogisti che dicono proprio questo: non si impara dall’esperienza in sé ma da quello che capisci riflettendo sull’esperienza vissuta. Il ruolo del mentor è accompagnare i ragazzi e le ragazze nel tirare fuori riflessioni e insegnamenti dalle esperienze.
Le parole che mi sono ritrovata ad utilizzare maggiormente con i ragazzi e le ragazze che sto seguendo con Bella Storia sono …. parole mutevoli, sempre diverse e sempre nuove, proprio come i ragazzi stessi che sono in continuo divenire, alla ricerca di sé stessi nel futuro. Immaginare, diventare, realizzare, sono verbi custodi di desideri da cui si sprigionano idee, intenti e progetti. Vorrei e mi piacerebbe, timorosamente coniugati al modo condizionale, lasciano intravedere come l’apprensione accompagni le loro scelte. Poi è l’avverbio che scandisce il tempo della narrazione, un racconto a volte incessante, altre più timido … Le parole che ascoltiamo durante i colloqui di mentoring possono essere lette come l’auto-bio-grammatica di una bella storia.
Ada Boffa, cooperativa Dedalus, mentor Campania
Come Ashoka avete una grande esperienza sulla formazione di figure di mentor. Quali sono le problematiche più comuni con cui si scontra chi ricopre questo ruolo e quali sono le possibili soluzioni che vengono discusse durante le vostre formazioni?
Abbiamo strutturato un percorso di allineamento sulla grammatica pedagogica, su come intendevamo lavorare, qual era il nostro obiettivo, e quale il ruolo del e della mentor. A settembre 2023, ci siamo incontrati nuovamente dopo un anno per scambiare idee e pratiche e provare a trovare insieme delle possibili soluzioni sulle criticità emerse. Durante il secondo anno di progetto, abbiamo trascorso più tempo insieme, perché come Ashoka abbiamo svolto anche delle attività direttamente con i partecipanti, cogliendo quindi l’occasione di coinvolgere i e le mentor in questi momenti. L’ultimo scambio è stato poche settimane fa, a settembre 2024, in corrispondenza dell’avvio dell’ultimo anno di percorso,in cui abbiamo fatto un nuovo check dopo il secondo anno. Il tema del primo anno di formazione sul mentoring è stato come seguire al meglio i ragazzi e le ragazze, quest’anno abbiamo lavorato sul lasciare andare:essendo l’ultimo anno di progetto vogliamo curare questo aspetto e non fare come Virgilio che sparisce da un momento all’altro nel Purgatorio, lasciando Dante nella più nera disperazione. Tornando alle problematiche, sicuramente mi sento di dire che uno dei temi che emergono di più è capire quali sono i confini: se un ragazzo o una ragazza mi confida qualcosa, come mi comporto? In alcuni casi, ad esempio, c’è stato bisogno di attivare le famiglie e la comunità educante. Un’altra cosa su cui abbiamo lavorato è capire quali sono gli spazi che ci diamo per confrontarci. Un terzo nodo è come aiutare i ragazzi e le ragazze a consolidare l’apprendimento. Infine uno dei ruoli del mentor in Bella Storia è stato dare supporto nella rendicontazione delle spese e ci siamo confrontati anche su quello.
Quali sono i punti di contatto tra un/una mentor e un/una mentee? E’ possibile trovarne attingendo magari alla propria esperienza quando si era nell’età del ragazzo o della ragazza che si segue?
Questo è uno dei principi pedagogici che abbiamo sposato come Ashoka e che abbiamo proposto ai e alle mentor. La relazione che si instaura è una relazione personale. Paulo Freire diceva che nessuno insegna a nessuno, tutti impariamo da tutti. Il e la mentor è ovvio che hanno più esperienza dietro le loro spalle e possono aiutare degli e delle adolescenti a muoversi nel mondo. Ma la biografia dei mentor cambia anche a seconda del percorso che fanno nel loro ruolo, e viceversa cambia il modo di interpretare il loro ruolo a seconda della sensibilità ed esperienza di vita. Anche noi come Ashoka abbiamo imparato molto dai ragazzi e dalle ragazze del progetto. È’ normale che esista una distanza educativa che ha senso mantenere, ma ricoprire il ruolo del mentor usando “dei guanti di plastica” è davvero una strada che difficilmente funziona con degli adolescenti.
Nel mentoring si ascolta molto e si parla poco. Le parole comunque più diffuse sono quelle che trasmettono interesse. Sembrerebbe banale, ma il “come stai” è l’apertura di un mondo. Stessa valenza ha il “come va“. Ogni parola che dimostra interesse e centralità delle ragazze è dei ragazzi seguiti in mentoring è uno spiraglio di fiducia.
Come stai
Come vaMi interessa sapere
Puoi contare su di meParole di responsabilità che occorre pronunciare con consapevolezza di essere/aspirare /diventare punti di riferimento.
Mario Alberti, cooperativa Kyosei, mentor Calabria
Date molta importanza all’autonarrazione dei e delle mentor come strumento nelle vostre formazioni, immagino con l’obiettivo di comprendere a pieno l’importanza del proprio lavoro e poterla socializzare con altri e altre che svolgono i medesimi compiti. E’ un modo per ricordarsi anche del valore politico del lavoro sociale?
Ho avuto conferma di quanto dici nell’evoluzione degli incontri che abbiamo avuto. Il primo momento di incontro è stato di autonarrazione partendo dalle nostre storie individuali come attori di cambiamento; il secondo è stato più tecnico sull’autonarrazione dei ragazzi e delle ragazze; l’incontro di quest’anno è stato molto politico. E’ venuta molto fuori l’idea di lavorare perché la scuola cambi, perché le famiglie capiscano qual è il nostro ruolo, sempre più sociale e politico. Gli stessi mentor si sono stupiti dei progressi dei ragazzi rispetto alla loro attivazione, perché le attività che abbiamo proposto nei camp, che riguardavano la capacità di intervenire per provare a trasformare la propria comunità quando c’è un problema, i ragazzi e le ragazze, una volta tornati a casa, hanno iniziato ad applicarle nel concreto. Credo, ed è una riflessione condivisa anche dalla Fondazione Unipolis, che l’attività di Bella Storia debba essere trasformativa. I ragazzi e le ragazze selezionati e che stanno facendo il percorso possono diventare enzima di cambiamento sui loro territori e questo progetto può diventare un modello da replicare altrove. Questa prospettiva dà una cornice di senso ai e alle mentor e a tutti noi partner che lavoriamo insieme, tutti e tutte convinti di voler trasformare la società.