Intervista a Raffaella Palladino*
Il 31,5% delle donne italiane tra 16 e 70 anni ha subìto nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale e tre su quattro degli oltre centodieci femminicidi del 2017 sono stati commessi tra le mura domestiche. Ma la violenza sulle donne ha anche un fondamento socio-economico.
SV: Dott.ssa Palladino, quanto conta l’indipendenza economica per le donne che subiscono violenza fisica o psicologica?
Raffaella Palladino: La violenza è un fenomeno trasversale e colpisce le donne indipendentemente dal loro status economico e sociale. Certamente contare sulla propria indipendenza è importante durante i percorsi di liberazione dalla violenza, perché nel momento in cui la donna decide di allontanarsi dal compagno violento, l’indipendenza economica è uno dei punti principali su cui bisogna fare leva. E’ evidente che laddove ci sono situazioni di povertà conclamata o mancanza di opportunità di lavoro o di formazione il problema diventa più grave. Per questo, non a caso, uno dei nostri prioritari impegni come rete dei centri antiviolenza è quello di sostenere le donne nei percorsi di autonomia, procurando alle donne opportunità di formazione e di lavoro.
SV: Quali iniziative concrete portano avanti i centri per sostenere il reddito e l’emancipazione economica delle donne? E questi interventi sono in qualche modo connessi con la denuncia delle violenze subite?
Raffaella Palladino: Facciamo una distinzione. Solo una parte delle donne che si rivolgono ai centri necessita di questo supporto, perché arrivano da noi anche donne che sono affermate professionalmente, laureate, inserite nel mercato del lavoro. Per quelle che ne hanno bisogno, è chiaro che diventa uno dei pezzi fondamentali dei progetti individualizzati e che va da sé, a prescindere dal fatto che la donna possa aver scelto di denunciare le violenze. E’ bene sottolinearlo: nei nostri centri le donne sono sempre libere di decidere il loro percorso. Quelle che non denunciano noi le aiutiamo allo stesso modo di quelle che decidono di farlo. Quando capiamo che la donna non ha un’indipendenza economica, e per lei diventa un motivo di ulteriore ricatto, interveniamo. Non ci dimentichiamo che le donne che lasciano i mariti, hanno anche paura che gli vengano sottratti i figli. Devono sempre dimostrare ai servizi sociali che hanno una casa, un lavoro e che sono in grado di andare avanti da sole, e questo le rende estremamente vulnerabili e ricattabili. Noi come centri disponiamo di servizi di orientamento e formazione e proviamo ad inserirle attraverso tirocini e borse lavoro. Ci sono sempre più imprese che si rivolgono alla rete DIRE per fare donazioni e noi chiediamo anche di accogliere le donne all’interno della loro rete di aziende sperando in percorsi lavorativi poi stabilizzati. Va detto che resta una grandissima disomogeneità a livello nazionale. Molte delle imprese con cui collaboriamo sono al nord o al centro, per cui al sud, dove ci sono meno servizi e meno chance,e non abbiamo neanche la rete di imprese dove inserire le donne. Nel sistema delle disuguaglianze c’è quella di genere che è enorme ma c’è anche la disuguaglianza territoriale, perché se nasci al Sud sei ancora più vulnerabile.
La nuova campagna di D.i.Re, curata dall’agenzia Hero Comunicazione, è pensata soprattutto per le ragazze, ma non solo. Sottolinea che la violenza – in qualsiasi forma, sia fisica che psicologica – non è mai giustificabile come espressione d’amore. È tutt’altro, è appunto violenza. E davanti alla violenza occorre cambiare strada, e farlo prima possibile.
https://www.direcontrolaviolenza.it/la-nuova-campagna-di-d-i-re-per-prevenire-la-violenza-sulle-donne/
SV: Si riferisce in particolare ai dati sulla povertà o agli stereotipi culturali più profondi?
Raffaella Palladino: C’è una sorta di omogeneità trasversale in tutto il paese, che in generale è ancora maschilista. Nel sud ci sono certamente luoghi di maggiore segregazione culturale e poi, anche se è un ambito molto poco studiato, ci sono le zone ad alta densità criminale, dove l’omertà è un’ulteriore criticità rispetto all’emersione del fenomeno della violenza maschile, che è sempre un fenomeno sommerso, ma lo diventa ancora di più in un contesto in cui il silenzio è veramente il mandato culturale. Credo che nelle aree di camorra e di mafia ci siano delle difficoltà maggiori. Io lavoro a Casal di Principe e parlo per esperienza personale. Lì, alcuni bar sono frequentati solo da uomini e tutti si girano se entra una donna. Se da una parte c’è comunque un’omologazione culturale che viene dai mass media che si fa sì che anche le ragazzine di Casal di Principe siano sui social, dall’altro ci sono ancora dei luoghi reali in cui si legge una dimensione di segregazione di genere terribile. Non possiamo parlarne con rigore scientifico perché si tratta di suggestioni, a causa della mancanza di studi specifici. Molte invece sono le ricerche che indicano la grave deprivazione socio-economica, che combinata a una mancanza storica e cronica di servizi nei nostri territori, di certo non aiuta le donne.
SV: Una domanda su un caso di cronaca terribile, quello di Cisterna di Latina. Antonietta Gargiulo aveva presentato un esposto e aveva parlato con il comandante del marito di cui avvertiva la pericolosità e da cui si stava separando. Dove sono stati i buchi e cosa si sarebbe potuto fare per evitare questa tragedia?
Raffaella Palladino: Il punto è sempre lo stesso: la parola delle donne non ha credito. Abbiamo scelto come hashtag dell’8 marzo #ioticredo per questo motivo. Quando una donna dichiara di aver subito violenza va sempre creduta, ma questo non accade né nel mondo dei servizi, né nei tribunali. C’è un diffuso mancato riconoscimento della parola delle donne. E i reati contro di loro sono gli unici in cui non l’attenzione ricade non sull’autore ma sulla vittima e su cosa ha fatto per provocarla. Invece bisogna credere alle donne e fare un’attenta valutazione del rischio, cosa che tutte le forze dell’ordine sono in condizione di fare. Quanto scarso valore è stato dato alle parole di quella donna? Se pensiamo che nel 2015 a quell’uomo era stata tolta la pistola per un reato di truffa, evidentemente un reato contro il patrimonio è stato condiderato più grave di un reato contro una donna. Perché quando lei è andata dai superiori per segnalare che era diventato pericoloso per lei e le sue figlie a quell’uomo la pistola l‘hanno lasciata. Noi continuiamo a ripetere che l’unico indicatore di violenza è la parola della donna. Nei tribunali, come dicevo, accade lo stesso, le donne vengono rivittimizzate: ad essere attenzionata è la loro vita, la loro morale sessuale, il loro comportamento, la loro genitorialità e questo le donne lo sanno bene e anche per questo le denunce sono sempre pochissime in relazione alle numerosissime violenze che le donne subiscono. Chiediamo è che le donne vengano credute in tutti i contesti e che vengano prese misure utili al tempo giusto. Tutti i discorsi sulla certezza della pena, sulle punizioni esemplari a noi non interessano, vogliamo che si intervenga molto prima che i reati vengano commessi, per evitare che altre donne muoiano e che altri bambini vengano esposti alla violenza.
SV: Le donne del Movimento Non Una di Meno hanno indetto per la giornata di oggi uno sciopero produttivo e riproduttivo, che guarda anche a proteste analoghe in altri paesi. Può essere funzionale un’iniziativa di questo tipo a rendere pubblicamente evidente il contributo delle donne nella società?
Raffaella Palladino: E’ chiaro che questo mondo, per come è organizzato, senza le donne non va da nessuna parte. Questo sciopero ci dà la possibilità di ribadire, in maniera più simbolica che concreta, che il problema della discriminazione di genere ha delle grandi fondamenta non solo culturali ma anche economiche. Il mondo si fonda sullo sfruttamento delle donne, su tutte le ore di lavoro non retribuito che le donne ogni giorno offrono anche in maniera involontaria per i compiti di cura che non sono né valorizzati né riconosciuti economicamente. Dobbiamo dirlo perché sembra sempre che stiamo parlando solo della dimensione culturale della disuguaglianza invece sappiamo quanto sia importante quella socio-economica. I Pil di tutti i paesi occidentali andrebbero sottosopra se volessimo contabilizzare e riconoscere economicamente il lavoro di cura delle donne: i servizi scompaiono e restano le donne ad occuparsi dei bambini e degli anziani. Ma anche fuori dalle mura domestiche, nel mondo del lavoro produttivo, non c’è ancora un grande riconoscimento del contributo delle donne. Rispetto allo sciopero però siamo consapevoli che molte donne si trovano in condizioni lavorative precarie e per loro scioperare significherebbe correre un rischio alto. Noi come DIRE, poiché siamo una rete di organizzazioni politiche e non di servizi, aderiamo allo sciopero ma allo stesso tempo abbiamo ben presente che ci sono tante situazioni di precarietà e di fragilità che impediranno ad alcune donne di astenersi dal lavoro produttivo.
SV: Un’ultima domanda. A giorni si insedierà il Parlamento appena eletto, ma ancora non sappiamo quando e quale Governo si formerà. Cosa chiederete per le donne ai parlamentari e ministri della nuova legislatura?
Raffaella Palladino: Io penso che le donne di questo paese siano tutte vittime di violenza. Non distinguo perché tutte la subiamo sotto forma di discriminazione, di offesa alla nostra dignità, si svalutazione, di oppressione da parte di sistema culturale che non ci rispetta. A qualsiasi Governo si formi chiederemo le stesse cose che abbiamo chiesto al Governo uscente. Risorse congrue al sostegno di quello che prevedono la Convenzione di Istanbul e il Piano Nazionale contro la violenza, ovvero attenzione agli ambiti della protezione, prevenzione e alle politiche integrate. Chiederei di non creare misure per le donne che siano di tipo repressivo e securitario perché non è di questo che abbiamo bisogno, bensì di riscrivere i rapporti tra uomini e donne nel rispetto delle differenze e chiederei quindi di partire da una dimensione culturale per contrastare tutti gli stereotipi di genere iniziando dalle differenze tra bambini e bambine, alle quali viene ancora insegnato innanzitutto a prendersi cura degli altri e a pensarsi in relazione all’altro sesso. Da quando nasciamo abbiamo meno chance, meno opportunità, meno diritti, e invece l’obiettivo che un paese per essere minimamente civile dovrebbe porsi è scrivere una storia in cui non ci siano cittadini di serie A e cittadine di serie B. Questo chiederei, questo chiederemo.