C’è una grande disuguaglianza tra chi ha un lavoro e chi non ce l’ha. Questo rappresenta una sfida per un sindacato nuovo e innovativo, che deve saper tutelare gli interessi anche di chi è disoccupato o precario per creare una società migliore, dove al centro ci sia il lavoro in tutto il suo valore.
Intervista a Emanuele Verrocchi*
Le chiedo tre aggettivi per definire il lavoro oggi in Italia e a livello globale.
La mia risposta riguarda il lavoro a livello globale, dove dentro c’è anche il nostro paese. I tre aggettivi sono precario, povero e usurante.
Parliamo di senso comune: qual è la falsa verità che si è andata consolidando rispetto al lavoro e come disinnescarla?
Quello che si è perso, in riferimento al lavoro, è la considerazione del lavoro come un valore. Inizierei a considerare il lavoro come un diritto umano e inizierei a dare un’accezione più ampia all’articolo 1 della Costituzione Italiana. Penso alla Convenzione Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite che, in un certo senso, fa equivalere il lavoro a un diritto umano. Perché se noi avessimo considerato il lavoro in questo modo, forse non avremmo avuto negli anni una produzione legislativa sui temi del lavoro come ce l’abbiamo oggi, perché sfido chiunque a considerare legittimo costituzionalmente un lavoro che non è stabile e quindi precario, un lavoro mal pagato, un lavoro che non è sicuro, usurante, che provoca problemi di salute. Serve un’innovazione teorica e di principio, e poi un obbligo per gli Stati, come previsto dalla Convenzione già citata, affinchè elaborino politiche che perseguano la dignità nel lavoro.
Secondo un’indagine Demoskopica di settembre il sindacato perde iscritti, eppure ricerche negli USA hanno dimostrato che la sua presenza consente di ridurre le disuguaglianze di reddito. In un contesto europeo e italiano di grandi disuguaglianze e di forte tendenza alla disintermediazione, qual è il ruolo del sindacato oggi?
Insieme alla teoria, all’operazione culturale, ci mettiamo anche la pratica perché non possiamo stare fermi. Vista l’accelerazione di alcuni cambiamenti, il 2019 non può vederci passivi. Credo sia arrivato, a livello europeo e italiano, il momento della mobilitazione, di manifestare e portare avanti le nostre richieste.
Dieci anni di crisi, il lavoro ha perso terreno. Tante persone hanno perso il lavoro, tanti sono i lavoratori poveri. Che fine ha fatto il lavoro come generatore di reddito, di tranquillità e di sicurezza? Da dove si parte il potere negoziale del lavoro rispetto al capitale?
Il lavoro sembra il vero assente del dibattito pubblico attuale. L’Italia si trova in basso alla classifica dei paesi europei per tassi di occupazione. Negli anni il legislatore non ha avuto la capacità di fare un bilanciamento tra interessi, capitale e lavoro. Troppo spesso, durante la crisi soprattutto, si è guardato all’interesse del capitale e dell’impresa e meno all’interesse del lavoro e dei lavoratori. Bisogna parlare di come creare occupazione con investimenti pubblici mirati. E poi occorre parlare ancora del tema del salario, che sembra scomparso. Noi proviamo con la contrattazione, anche in maniera coraggiosa e audace, a garantire una situazione dignitosa dal punto di vista del salario per le lavoratrici e i lavoratori. Spesso ci riusciamo, ma a volte siamo anche deboli. Perché il tema del salario e quindi della povertà operaia è assente. A me dispiace ripeterlo, ma si sta perdendo l’orizzonte. La politica nazionale, il legislatore, ha come una miopia nei confronti del lavoro e un atteggiamento presbite per quanto riguarda l’impresa: per la seconda guardiamo lontano, per il primo non si riesce a cogliere ciò che è necessario. Nel capitalismo attuale, nella globalizzazione accelerata, noi proviamo nella nostra attività quotidiana, anche da un punto di vista filosofico-concettuale, a rifare questo bilanciamento tra capitale e lavoro. E’ necessario, altrimenti rischiamo sempre di più di scendere nel baratro. E penso anche all’Europa da cui dipende la maggior parte della legislazione attuale. Per il sindacato è importante avere una dimensione europea, dobbiamo essere capaci di saper stare su alcuni tavoli per permettere una ricaduta positiva nel nostro paese, per un benessere maggiore dei nostri lavoratori. Dobbiamo rileggere tutti Karl Marx perché quel ribilanciamento tra capitale e lavoro dovrebbe essere la bussola del nostro agire quotidiano, e poi per la politica, dell’agire politico, e per trovare il coraggio di stare dalla parte dei più deboli, degli ultimi, di quelli che, nella catena produttiva, stanno nel punto più basso, cioè i lavoratori.
Cosa ne pensa del Reddito di cittadinanza?
Considero il Reddito di cittadinanza un generatore di illusioni. E’ un provvedimento concettualmente e filosoficamente sbagliato. Per creare lavoro di qualità, di cui noi abbiamo bisogno, servono investimenti pubblici e questi non sono stati introdotti con la manovra finanziaria. Ritengo sia ancora più sbagliata come misura in un momento storico di recessione tecnica e se a questo si aggiunge una politica fiscale che non è progressiva, e aiuta solo le partite IVA, la situazione peggiora ulteriormente. Il Reddito di Cittadinanza non risolve nemmeno il problema della povertà. Non mette in campo strumenti come il rafforzamento delle reti sociali, sembra una mancia temporanea che poi si collega alla ricerca del lavoro. Non è quindi un intervento strutturale contro la povertà. E vedo anche un rischio rispetto all’aumento del lavoro nero. Voglio sfidare il Governo sul fronte dei controlli. Viviamo un paese, io lo vedo in edilizia, sui cantieri, dove sono carenti le ispezioni sul lavoro e penso dunque sia improbabile riuscire a mettere in piedi un sistema di controllo su tutti quelli che percepiranno il reddito. Non mi sembra ci sia un investimento adeguato per il rafforzamento della pubblica amministrazione.
Avete appena eletto il nuovo segretario del CGIL e il 9 febbraio siete pronti per la manifestazione nazionale unitaria #FuturoalLavoro proclamata da Cgil, Cisl e Uil. Quali sono le richieste del sindacato oggi? E quali le proposte?
L’elezione di Maurizio Landini ha portato molto entusiasmo nella base, negli iscritti. Adesso si deve passare al pragmatismo della proposta e dell’azione politico-sindacale quotidiana. Il 9 febbraio manifesteremo e condivideremo la piattaforma ampia di proposte che facciamo: più investimenti pubblici, dato che nella manovra finanziaria si fa il contrario, penso ai grandi cantieri delle infrastrutture materiali; il fisco: con la flat-tax si abbassano le tasse alle partite IVA, ma non calano quelle su lavoratori e pensionati; l’attenzione al Mezzogiorno e non all’autonomia differenziata delle Regioni del nord, per un provvedimento fiscale che non divida il paese; più soldi alla sanità e più soldi all’istruzione con piani di assunzione nella Pubblica Amministrazione; le pensioni con un vero superamento della legge Fornero, perché quota 100 ad esempio non dà risposte ai lavori usuranti e gravosi, e la richiesta di una risposta forte contro la povertà. Aggiungo anche che il prossimo 15 marzo i sindacati delle costruzioni e dell’edilizia di CGIL, CISL e UIL si mobiliteranno in maniera unitaria e sarà il primo sciopero nel periodo del Governo Conte. Il nostro è un settore che negli anni si è dimezzato e non ci sono provvedimenti per invertire questa rotta e questa tendenza.
Chi sono i peggiori nemici del lavoro e chi sono i migliori amici del lavoro oggi in italia?
Il peggior nemico del lavoro è la politica attuale per via della scarsa attenzione e della poca competenza nel parlare di lavoro e di conseguenza nel prendere provvedimenti su questi temi. I migliori amici del lavoro sono quelle persone che il lavoro non ce l’hanno. Parlando con chi è disoccupato, ci si rende conto di cosa occorre fare per creare lavoro di qualità e dignitoso. La vera disuguaglianza oggi, secondo me, è proprio tra chi ha un lavoro e chi non ce l’ha e questa è una sfida per un sindacato nuovo e innovativo, che deve saper rappresentare anche chi è disoccupato o precario per creare una società migliore, dove al centro ci sia il lavoro in tutto il suo valore di diritto umano.