“L’adattamento è il fronte prioritario su cui si misura la giustizia climatica e la possibilità di successo globale delle politiche nazionali e internazionali per contrastare la crisi climatica”, scrive Vittorio Cogliati Dezza. (Articolo pubblicato il 29 Novembre su Rinnovabili.it)
Sono stato facile profeta quando su Rinnovabili.it, dopo le grandi manifestazioni del 5 e 6 novembre, a metà della COP26, scrivevo La giustizia climatica s’è persa tra le strade di Glasgow e preannunciavo: “la giustizia climatica sarà molto probabilmente il grande escluso dall’accordo finale”. Così è stato!
Perché tornare oggi sui risultati della COP di Glasgow e perché su questo punto? Per due ragioni e si annidano entrambe in quell’abisso di cui ha parlato il presidente della Cop26, Alok Sharma, di fronte all’Assemblea che ha approvato il Patto per il clima di Glasgow:“rimane un abisso tra gli obiettivi a breve termine e ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo di Parigi. Quel lavoro deve iniziare ora”.
La prima ragione.
Al di là dei punti positivi e di quelli negativi, di cui si è detto più o meno tutto in questi giorni, a Glasgow non si è detto nulla di giustizia climatica, anche se è stato certamente lo slogan che più ha risuonato in quei giorni, nelle strade e nelle stanze della Conferenza. Nel Patto, infatti, non si va oltre una sola striminzita citazione, nella premessa, nella strana forma: “rilevando anche l’importanza per alcuni del concetto di giustizia climatica“, insieme ad un variegato elenco di diritti umani, senza alcun impegno che possa far capire cosa si voglia fare.
L’assenza risulta ancora più preoccupante perché tra i risultati politici significativi della COP26, anche se non esplicitati nelle formule del Patto, ma certamente illuminati dall’accordo tra Cina e Usa per l’istituzione di un Comitato bilaterale per arrivare ai 1,5°C, non a caso annunciato in quella sede, sta il fatto che la questione climatica è stata definitivamente ed inequivocabilmente promossa tra le due o tre grandi emergenze globali del nostro tempo, attraverso cui è necessario guardare alle altre grandi emergenze. E, contestualmente, è stata ratificata la delineazione di una nuova geografia che divide il mondo in due, tra i Paesi che hanno come problema principale gli investimenti nella mitigazione, per sostenere la transizione energetica, ed i Paesi che già oggi subiscono i danni dell’impatto climatico e hanno come urgenza prioritaria quella dell’investimento nell’adattamento. Lungo questa linea di demarcazione tra mitigazione e adattamento, con la differenza di risorse per la mitigazione a discapito dell’adattamento, si sviluppano i rapporti di forza del mondo globalizzato.
In questo contesto in forte evoluzione il concetto di giustizia climatica rimane ancora molto legato al significato con cui emerse, una ventina d’anni fa, nel crogiuolo del World Social Forum di Seattle e Porto Alegre, centrato sulla situazione di sfruttamento e rischio dei Paesi del Sud del mondo.
Con una paradossale conseguenza. Oggi a pagare le conseguenze della sottovalutazione dell’investimento globale in adattamento non sono solo i Paesi poveri, ma anche …
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