Il Governo ha dichiarato la volontà di investire non meno del 40% delle risorse del PNRR al Sud, pari a 82 miliardi. Ma leggendo il Piano solo 35 miliardi sono effettivamente allocati nel Mezzogiorno. La restante parte degli investimenti verrà ripartita attraverso bandi. Non una buona notizia per il Sud, dove le amministrazioni sono le meno attrezzate a concorrere per queste risorse
Il PNRR mira alla riduzione delle disuguaglianze generazionali, di genere e territoriali. Come si raggiungerà, in particolare, il terzo di questi obiettivi? Non è facile dirlo, da una prima lettura dei documenti. Le appendici ad ogni missione del Piano che danno conto del loro impatto sulle priorità trasversali sono assai generiche. Mancano del tutto target precisi, al 2026 e per il Mezzogiorno. Tuttavia, nel PNRR si sostiene che per puntare al riequilibrio territoriale, “il Governo ha deciso di investire non meno del 40% delle risorse territorializzabili del PNRR (pari a circa 82 miliardi) nelle otto regioni del Mezzogiorno”. Vi però un problema non secondario. Questi 82 miliardi destinati al Mezzogiorno nel PNRR non ci sono. Per verificarlo, per ogni misura si è controllato se sia stata indicata una precisa e vincolante allocazione territoriale delle risorse. Si è così potuto appurare che una precisa quantificazione dell’investimento nel Mezzogiorno è contenuto in 33 delle 157 misure del PNRR, e in 5 del Fondo Complementare (FC). Tali misure indirizzano verso il Mezzogiorno investimenti per un totale di 22.209,27 milioni. Nei documenti ufficiali è quindi individuabile solo poco più di un quarto delle risorse ipoteticamente destinate al Mezzogiorno.
Tuttavia, in altre 22 Misure del PNRR e in altre 6 del FC vi sono degli indirizzi tali da lasciar prevedere che una parte delle risorse disponibili sarà certamente allocata nel Mezzogiorno. Su ciascuna di queste Misure è stata operata una stima, con un margine di errore. Il totale degli importi di queste Misure ammonta, secondo le stime qui effettuate, a 13,126 miliardi.
Quali sono le misure che non hanno un’allocazione territoriale predefinita? Da che cosa dipenderà questa allocazione? Vi sono in primo luogo alcune misure di incentivazione degli investimenti di imprese, che saranno allocate sulla base delle richieste. In altre misure i beneficiari non sono le imprese ma soggetti del settore pubblico. Laddove non vi è alcun indirizzo di allocazione territoriale, essa scaturirà dalle decisioni relative al riparto delle risorse effettuate dai decisori pubblici nazionali incaricati dell’attuazione delle misure. Assai frequenti sono i casi nei quali ciò avverrà attraverso meccanismi a bando fra le amministrazioni pubbliche destinatarie finali.
Il primo e principale problema è che è del tutto assente in questi casi un indirizzo politico verso la perequazione delle dotazioni infrastrutturali e della disponibilità dei servizi nelle diverse aree del paese, in presenza di divari territoriali estremamente ampi. Particolarmente interessante è il caso degli asili nido, per i quali la misura M4C1111 destina ben 4,6 miliardi; la misura, a differenza di quanto avveniva nella bozza del governo Conte, sia pur con una indicazione generica, è priva di qualsiasi indirizzo territoriale, in presenza di disparità estremamente ampie. Ciò significa che il Governo non ha ritenuto di dover garantire, seppur tendenzialmente, pari diritti ai cittadini italiani in più tenera età, ma di affidarli all’alea di procedure competitive.
L’allocazione dipenderà dai criteri che saranno definiti nei molti bandi. Da questo punto di vista l’esperienza italiana è particolarmente critica e richiederà la massima attenzione: sono infatti molto numerosi i casi in cui i criteri per i bandi, o comunque di governo dell’allocazione delle risorse, hanno contenuto indicatori e criteri tali da penalizzare le regioni più deboli del paese. Criteri apparentemente tecnici, “neutrali” e invece volti a predeterminare almeno in parte l’esito dei riparti. Certamente possono rilevare le capacità delle amministrazioni di volta in volta chiamate a concorrere per queste risorse. Pur non essendovi evidenze univoche a riguardo, è possibile ipotizzare che proprio nelle aree più deboli del paese, le amministrazioni possano essere meno attrezzate proprio a queste progettualità. Tutto ciò si vedrà con i processi di attuazione degli interventi previsti dal PNRR e dal FC.
Quindi, solo 35 miliardi di euro sono certamente allocati nel Mezzogiorno. Ciò non significa, è bene ricordarlo, che il resto delle risorse del PNRR siano allocati tutti fuori dall’area; ma lascia un dubbio assai rilevante, dato lo scarto fra le cifre, sull’esito finale. La cifra di circa 80 miliardi di investimenti nel Mezzogiorno indicata nel Piano appare dunque come un “totale in cerca di addendi”. Conseguentemente, l’impatto del PNRR sull’economia e l’occupazione del Mezzogiorno, così come presentato nel Piano è anch’esso al momento solo una ipotesi; è possibile, ma non garantito.
Ciò apre uno scenario di grande interesse, già sottolineato dal Forum Disuguaglianze e Diversità. L’impatto del Piano, e non solo per quanto riguarda gli aspetti territoriali, dipenderà moltissimo dalla sua attuazione. Non solo, come è ovvio e assai importante, per le regole di semplificazione e per le capacità amministrativa. Ma anche perché nella sua attuazione saranno compiute scelte politiche rilevanti, attraverso i criteri di riparto e allocazione e i bandi, che ne determineranno gli effetti. Sarà certamente indispensabile battersi per meccanismi di trasparenza di tutti i passaggi decisionali, e di monitoraggio di tutti gli interventi, che consentano di conoscere e per quanto possibile influenzare queste scelte. Un grande processo democratico di condivisione e attuazione del Piano sarà una condizione necessaria per il suo successo.
* Gianfranco Viesti, docente di economia presso l’Università di Bari, partner di progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità
* Foto di Riccardo Orlando su Unsplash
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