La sinistra ha tradito la sua missione, quella di rappresentare gli ultimi e gli sfruttati. Occorre uscire dall’individualismo, ascoltare la rabbia di chi è stato vittima della disuguaglianza crescente, spiegare le cose in modo semplice e investire sulla comunicazione.
Intervista a Paolo Gerbaudo*
Cosa secondo lei è oggi “senso comune” in Italia?
Il senso comune ha una storia lunga come concetto in filosofia. Se prendiamo la definizione di Gramsci, il “senso comune” è da lui definito come l’opinione morale media della popolazione. In qualsiasi momento storico si crea una sorta di opinione della maggioranza, una serie di concezioni su cosa è il mondo, su cosa che è giusto e su cosa è sbagliato, su cosa ci si può aspettare, su cosa non ci si può aspettare. E queste opinioni diventano parte del patrimonio culturale della stragrande maggioranza delle persone. Il senso comune è quindi un pilastro fondante del vivere comune: le persone possono vivere insieme perché hanno un senso condiviso di quello che è giusto e necessario fare. Tuttavia il senso comune è un aspetto problematico della realtà, perché è profondamente ideologico. Talvolta pensiamo all’ideologia come a qualcosa di dichiaratamente politico ma di fatto le cose più potentemente ideologiche sono quelle che non sembrano ideologiche nè politiche. Sono le cose che diamo come assunte. Faccio degli esempi, frasi come “alla fine bisogna accettare quello che ti offrono perché bisogna pure lavorare”, oppure “se quello è povero sarà perché non si è dato da fare”, o ancora “se il meridione di Italia è conciato così male sarà perché le persone sono più pigre di quelle del nord”, sono frasi che sentiamo ogni giorno, e che vengono date per scontate, quando invece non lo sono affatto perché nascondono contenuti ideologici molto pesanti e sono anche il frutto del capitalismo folle e senza controllo, chiamato neoliberismo, che è diventato elemento dominate della nostra cultura e della nostra società plasmando tutto il mondo a sua immagine e somiglianza.
Quindi, se noi vogliamo cambiare la realtà, e affrontare il problema delle disuguaglianze e cambiare la direzione della società, è fondamentale anche lavorare per un cambiamento culturale profondo del modo in cui le persone concepiscono la realtà in cui vivono. Oggigiorno le disuguaglianze e il fatto che le élite economiche possano spadroneggiare in maniera così forte senza nessun ostacolo è dovuto in buona parte al fatto che il senso comune pende verso di loro e favorisce la loro azione senza controllo perché in qualche modo le persone si identificano con i capitalisti, con i super ricchi. Anche quando sono povere o di classe media, le persone hanno questa sorta di proiezione e di identificazione verso i super ricchi. C’è un lavoro fondamentale da fare a livello culturale per svelare alle persone che i loro interessi sono spesso di segno opposto di quello delle élite economiche.
L’inevitabilità delle disuguaglianze si è consolidata nel senso comune negli ultimi 30 anni, in Italia e nel resto dell’Occidente, e non è stata messa in discussione dai vari governi che si sono alternati. Oggi le sembra possa essere rimessa al centro? E da chi?
Secondo me è vero che veniamo da un mondo in cui per trent’anni sembrava impossibile dire che le disuguaglianze sono una cosa inaccettabile e che sono prodotte dal mercato. Dobbiamo però ammettere che, a partire dalla crisi economica del 2008 che è stata un trauma, alcune concezioni sono iniziate a cambiare, quantomeno si è seminato il dubbio rispetto alle falle del sistema economico che fino a oggi ha dominato la società. Io penso che alcuni di questi dubbi, alcuni cambiamenti del senso comune, sono all’origine del successo del Movimento 5 stelle, che pur avendo anche una piattaforma molto contraddittoria, per certi versi liberista, anti-politica e anti-stato, per altri versi ha dovuto buona parte del suo successo alla promessa di spesa sociale, attraverso il cosiddetto reddito di cittadinanza, che fondamentalmente è un trasferimento di sussidi a persone in situazioni di povertà che può essere criticato in mille modi e giustamente, ma che è un trasferimento dallo stato alle classi più povere. E’ in qualche modo una politica contro la disuguaglianza. Ed è significativo che ci sia questa forte domanda di spesa sociale da parte dei settori più umili della popolazione rispetto alla necessità di aiutare chi è in difficoltà. Noi come Senso Comune (l’organizzazione di cui Paolo Gerbaudo è tra gli animatori, ndr) se da una parte pensiamo che non occorra dare alle persone un’elemosina, crediamo sia necessario un sussidio di disoccupazione universale come cuscinetto tra un lavoro all’altro. Propendiamo però più per l’idea che alle persone debba essere offerto un lavoro così da garantire la piena occupazione. Se le imprese private non sono in grado di offrire occupazione, è necessario un piano di lavoro pubblico garantito, come quello di Roosevelt e recentemente proposto da alcuni economisti americani, come Stephanie Kelton, come soluzione alla situazione attuale. A chiunque è senza occupazione viene offerto un impiego pubblico, che può essere nella sanità, nell’educazione, nel mantenimento di beni pubblici, rispetto a ciò di cui c’è bisogno nell’area in cui quella persona risiede. Questo permetterebbe con una sola misura di ottenere tutta una serie di cose: fisserebbe un salario minimo, permetterebbe la piena occupazione e anche il fatto che le persone che non hanno lavoro vengano impiegate in un’attività utile, cosa che non c’è nel reddito di cittadinanza. Nel piano di lavoro garantito il lavoro che viene offerto è utile alla società perché contribuisce ai suoi bisogni in termini di istruzione, salute, sicurezza, bellezza e al tempo stesso è utile al cittadino a cui viene offerto. Nella stragrande maggioranza dei casi le persone desiderano lavorare e sentirsi utili alla società in cui vivono. Noi pensiamo che questo sarebbe la misura più adatta a cambiare le cose. Siamo arrivati alla situazione attuale dopo anni in cui governi di centro-sinistra, che si supponeva che fossero quelli che dovevano lottare contro le disuguaglianze, spesso si sono svelati come i migliori alleati delle élite economiche che hanno perpetrato le disuguaglianze. Se vogliamo capire dove siamo oggi e perché la sinistra è così distrutta in Italia, dobbiamo capire che la gente odia la sinistra perché è stata la più la parte politica che è stata più felice e forte sostenitrice delle politiche di liberalizzazione selvaggia: penso al pacchetto Treu che ha spalancato le porte alla precarietà, poi le privatizzazioni di imprese pubbliche e le conseguenti svendite, poi aver forzato un’entrata nell’euro affrettata che anche quelli che sono stati i maggiori sostenitori all’epoca oggi ammettono che sia stata una scelta sconsiderata. L’uguaglianza è diventata la questione al centro dell’agone politico. La sinistra è stata punita perché ha tradito la sua tradizionale fedeltà al tema delle disuguaglianze e il Movimento 5 stelle è stato premiato perché in qualche modo, anche a torto, è riuscito a presentarsi come nuovo difensore delle persone che soffrono la disuguaglianza.
Riprendiamoci ciò che è nostro” si legge sul sito dell’associazione “Senso comune”, che si è costituita nel 2016 e di cui lei è uno degli animatori. Quale era l’obiettivo due anni fa e come è cambiato dopo le ultime elezioni politiche e in vista delle elezioni europee?
L’origine del nostro lavoro è da ricercare in un senso di insoddisfazione rispetto alla politica in Italia, e soprattutto rispetto alla politica progressista che noi, come animatori iniziali, vedevamo incagliata su un enorme malinteso, che si concentrava attorno alla polemica sul cosiddetto populismo. Per gli ultimi vent’anni la sinistra si è organizzata come forza anti-populista, come forza istituzionale che difende lo Stato di diritto, le leggi, la magistratura, l’ordine costituzionale contro il populismo, questo nemico fantomatico che viene identificato con la destra, con Salvini e prima anche con Berlusconi, non capendo che in realtà il populismo è un fenomeno culturale e sociale estremamente complesso e variegato. Per lo più nella storia italiana recente si è incanalato in senso reazionario e di destra, ma in realtà di per sé è l’insoddisfazione popolare nei confronti dell’establishment e dello stato di cose esistenti. Nel caso italiano ha chiaramente a che fare con il fatto che c’è una fetta crescente di popolazione che non viene più rappresentata da anni, se non decenni, dalle classiche istituzioni sociali e di rappresentanza e politiche della sinistra: dai sindacati che vengono percepiti come troppo deboli e troppo interessati al compromesso con le imprese, dai partiti della sinistra che vengono percepiti non più come rappresentanti delle istanze popolari e dei settori più umili della popolazione, ma spesso come rappresentanti della classe medio alta istruita e cosmopolita che in qualche modo guarda un po’ con schifo ai settori umili della popolazione, che taccia non solo di ignoranza ma di essere un settore grezzo della popolazione con cui non vuole avere a che fare, ribaltando quella che era la tradizione della sinistra storica, che era proprio la rappresentante degli ignoranti che spesso sono anche i più poveri perché non hanno mezzi per istruirsi. Si diceva “noi vogliamo elevare i più poveri, i lavoratori, gli strati più umili della società, quelli che stanno soffrendo, gli sfruttati, le classi subalterne, non abbiamo remore né timore di parlare con queste persone”. Queste dovrebbero essere l’elettorato che la sinistra dovrebbe rappresentare, non l’elettorato dei Parioli o del centro di Miano, che oggi è il cuore dell’elettorato del PD e di Più Europa e di quella che a torto oggi viene considerata sinistra. Con l’elezione di Trump ci dobbiamo rendere conto che sta succedendo qualcosa di grande nella società, un cambiamento enorme che ha a che fare con la crisi del sistema liberista che ha creato un malessere nella popolazione che bisogna affrontare di petto: non si può pensare che la ricetta non ha funzionato perché non è stata somministrata in dosi sufficientemente alte, e che se solo ci fosse una dose da cavallo l’Italia diventerebbe un paese efficiente e capitalista come tutti gli altri. In realtà basta leggere i profeti del neoliberismo: loro volevano crearla la disuguaglianza e hanno fatto di tutto per implementare misure che producessero quello, pur sostenendo che il sistema avrebbe prodotto più circolazione, più mobilità e opportunità anche per i ceti più umili. In realtà non è stato così. Poi c’è una seconda questione, che è quella della sovranità democratica, che è diventata una parola impronunciabile in certi circoli perché si è trasformata in “sovranismo”, percepito quest’ultimo come una sorta di nuovo nazismo quando in realtà qualsiasi persona con un po’ di laicità intende che la questione della sovranità, ovvero “chi ha diritto di decidere in quale luogo” è cruciale. Anche gli anti-sovranisti si occupano di sovranità: secondo loro dovrebbe essere tutta concentrata a Bruxelles. I municipalisti pensano che la sovranità debba essere a livello locale. Possiamo dire quindi che tutta la politica attuale, indipendentemente dalle diverse opinioni, è organizzata attorno a questo significante della sovranità. Perché? Perché ci si è resi conto che il neoliberismo ha provocato una mancanza di controllo. Il sistema di integrazione europeo ha privato l’Italia del controllo sulla propria economia, sulle proprie capacità di spesa in una maniera che secondo noi è stata negativa per il nostro paese, perché ha privato l’Italia di influenza e di controllo su una serie di questioni che sono fondamentali per l’interesse nazionale. E’ chiaro questo non significa che l’interesse nazionale viene prima di tutto, ma gli altri Stati europei, la Francia, l’Olanda, la Germania, il Belgio, il Lussemburgo, tutti stanno usando questo mito dell’Europa come scusa per continuare a fare i loro interessi. Questa questione, per una forza che vuole lottare contro la disuguaglianza, è ineludibile, ovvero che il controllo deve essere in parte riportato a livello più basso, a livello locale e nazionale, per una semplice ragione perché quello è il luogo dove le persone si identificano, a cui sentono di appartenere e quindi quello è il luogo della democrazia. Come Senso Comune abbiamo pensato che all’inizio andavano affrontati una serie di malintesi e di nozioni errate su quello che è la sinistra. Per noi la sinistra è diventata la difesa della classe medio alta e del suo desiderio di vivere in un mondo cosmopolita e aperto in cui mantenere uno stile di vita esclusivo. In realtà così facendo ha tradito la sua missione che è la difesa delle classi popolari. Sulla sovranità abbiamo provato a dire alle persone che ad esempio la sinistra storica ha sempre lottato per la sovranità, da Rousseau alla rivoluzione francese, alle lotte di liberazione nazionale a Garibaldi, fino all’Unione Sovietica e i comunisti, hanno sempre lottato per difendere il potere pubblico come base del potere democratico. Solo recentemente la sinistra è caduta in questa idea individualista, che lo Stato e le Istituzioni sono un problema e quindi serve meno controllo dello Stato e più il controllo è lontano meglio è. Abbiamo affrontato il problema della diversità e del femminismo perché crediamo che sia necessario un femminismo del 99%, ovvero non un femminismo alto-borghese ma uno popolare che sappia parlare alle donne anche di classe operaie non si identificano necessariamente nella visione di femminismo della vice-capa di Facebook. In secondo luogo abbiamo fatto delle mobilitazioni su temi specifici: partendo dalla nazionalizzazione. Abbiamo fatto una serie di dibattiti, abbiamo partecipato alla manifestazione del 20 ottobre per la nazionalizzazione di Autostrade, perché questo Governo ha promesso di farlo, e adesso continueremo nel 2019 con una campagna per il lavoro garantito che metta in campo la domanda di un piano di lavoro pubblico come necessaria soluzione per un paese dove c’è uno Stato ridotto all’osso, perché tra i paesi OCSE siamo il paese con meno dipendenti pubblici sul totale dei lavoratori, con i servizi pubblici che condizionano anche l’operato delle imprese private, con livelli di disoccupazione superiori a paesi sudamericani che un tempo consideravamo poveri. C’è una fetta enorme della società che viene esclusa dalla produzione che significa una situazione terribile per quelle persone e anche un enorme spreco di risorse perché ci stiamo privando del loro contributo alla produzione di beni e servizi a vantaggio di tutti quanti. Vogliamo essere una piattaforma di campagne sociali su tutti questi temi per stare dalla parte di chi non ha parte. Se poi in futuro questo tipo di lavoro si concretizzerà in un partito, in un’offerta politica, questo dipenderà da come si svilupperanno le cose. Crediamo che adesso sia necessario fare prima un lavoro di rappresentanza sociale dove crediamo ci sia un vuoto enorme su molte questioni che invece dovrebbero essere rappresentate.
Lei è un sociologo ed è esperto di comunicazione politica. Le due forze di governo sembrano occupare molto dello spazio mediatico e di conseguenza hanno avuto nei mesi scorsi e hanno ancora una grande influenza nella formazione del senso comune. Le sembra che si incominci a produrre anche un senso comune alternativo a quello dominante?
A me sembra che il lavoro culturale sia necessario perché oggi a sinistra ci troviamo con il vuoto, perché la sinistra viene percepita come quella forza che ha tradito le sue idee per ingrassare i ricchi e la classe media, seguendo la traccia di Tony Blair che pensava che la classe media, la middle Britain, fosse il luogo dove vincere le elezioni, ma a vent’anni di distanza da quegli eventi quella classe media per cui lottava Tony Blair è diventata
classe media impoverita che adesso ha dei punti di vista completamente diversi ed è preoccupata di difendere quello che ha. La comunicazione è uno spazio fondamentale dove cambiare discorso e bisogna avere il coraggio di buttarsi senza remore nei nuovi registri di comunicazione. Se Salvini a Santo Stefano viene fuori con pane e Nutella e fa i video live su Facebook ogni giorno, a parte irriderlo bisogna riflettere sul perché quel tipo di comunicazione è vincente. Perché offre alle persone un’identificazione nella situazione di disintermediazione totale della politica, di crisi dei corpi intermedi. Le persone trovano in quello un surrogato che consente di riconoscersi nel leader e negli stili di vita del leader che si comporta e si presenta come una persona comune. Bisogna fare un lavoro su quello per spiegare le cose in maniera semplice e rendere la politica più divertente, più simpatica e sbottonata. Secondo me si sta aprendo uno spazio, perché questo governo non è un governo del cambiamento ma del tradimento. Almeno sul 50% delle grandi promesse che aveva fatto, sollevando grandi speranze e anche uno spirito “vediamo quello che fanno” tra diverse persone, si è dimostrato un governo che si è subito appiattito rispetto alle resistenze che ha ricevuto sia dal Presidente della Repubblica che dagli organismi di Bruxelles, che appena hanno detto che non si poteva fare un deficit del 2,4, che è ridicolo per un paese in crisi che dovrebbe fare molto di più, perché i mercati si sarebbero rivoltati contro, ha subito abbassato la cresta, bloccando le assunzioni nel pubblico e tagliando diversi servizi in una maniera che avrà ripercussioni pesanti sulla qualità di nella vita delle persone. I cittadini scopriranno che la loro speranza è stata tradita, e che quella politica che era stata proposta come soluzione ai mali che vivono, non è effettivamente una speranza concreta. Lì si apre uno spazio per una politica veramente socialista, che veramente dica che le persone devono prendere il controllo sullo Stato e sull’economia per migliorare le loro condizioni di vita e per ridurre la disuguaglianza. Ma bisogna essere all’altezza della sfida, perché se la sinistra continua a esprimere solo le preoccupazioni dell’alta classe media, preoccupata di problemi che riguardano “gli altri”, anche in maniera molto nobile, come la questione degli immigrati, ma che non si occupa delle classi umili, dei lavoratori e dei disoccupati, se si continua a seguire quella strada, quella della sinistra fighetta, non cambierà la politica italiana: serve un radicamento nella società, un orecchio più disponibile, ascoltare i problemi e le sofferenze delle persone e che a volte si esprimono in maniera rabbiosa e prendendo come obiettivo anche le persone sbagliate, tra cui gli immigrati, ma bisogna avere la forza di essere umili e di abbassare la testa e di fare i conti con la società che abbiamo oggi, che ci piaccia o non ci piaccia. Noi abbiamo cercato di fare qualcosa perché la nostra percezione era che non ci fosse niente. Se ci fosse stato qualcosa ci saremmo aggregati a questo, anche perchè cominciare da zero non è affatto facile.
Il movimento dell’Onda non si è andato a concretizzare in nessun attore politico, quello del 2011 si è spento perché nella manifestazione del 15 ottobre i soliti settori che volevano fare casino hanno spento nella culla qualsiasi possibilità di evoluzione e a partire da lì c’è stato veramente poco a livello di movimenti sociali in Italia. A parte il movimento femminista, non c’è stato nessun movimento generale che possa aggregare sulla faglia più potente che è quella della disuguaglianza economica. La situazione è questa perché gli attori istituzionali di sinistra sono irredimibili: il PD nella sua origine ha un segno neoliberista, un compromesso storico costruito tutto sulla capacità di sterilizzare i movimenti del mondo del lavoro. Forse nella CGIL qualcosa potrebbe cambiare. Siamo in un mondo nuovo e servono nuove organizzazioni. Le persone in qualche modo sono sfiduciate verso organizzazioni precedenti che rappresentano il passato. Serve la costruzione di altro, come è successo con Podemos in Spagna, con France Insoumise in Francia, con Momentum in Gran Bretagna che è alla base del successo di Jeremy Corbyn. Nuove organizzazioni che siano interpreti del nuovo mondo, che adottino in partenza nuove dinamiche organizzative e che sappiano fare i conti con le caratteristiche peculiari della società digitali. Serve un lavoro di lungo periodo perchè queste cose non si improvvisano. La mia speranza personale è che in Italia parta un grande movimento di protesta anche indirizzato contro questo Governo e i suoi fallimenti e quello potrebbe essere una maniera più facile per poi portare una rigenerazione delle Istituzioni e delle organizzazioni sociali e politiche. Finchè questo non avviene, occorre fare un lavoro certosino e paziente di costruzione del nuovo.
La partecipazione politica dei cittadini alla è un tema di cui lei si è occupato, anche rispetto all’istituzione “partito”, di cui lei ha recentemente affermato l’attuale necessità scrivendo che “non c’è modo di prendere il potere e cambiare il mondo senza ricostruire e trasformare i partiti politici.” Pensa che siano fondamentali anche per cambiare il senso comune?
Sicuramente. I nemici dei partiti sono sempre stati i liberali, gli individualisti che sospettavano il partito perché vedevano nel partito un agente di omogeneizzazione, di autoritarismo, di controllo degli individui, di disciplina dall’alto verso il basso. In realtà i partiti invece sono sempre stati uno strumento fondamentale per le classi popolari, per le persone con limitate risorse economiche, perché sono l’unico sistema attraverso il quale queste persone possono unire le loro forze e farsi forza contro persone che individualmente sono molto più forti di loro. In buona parte il sospetto verso il partito è il riflesso del fatto che durante l’epoca neoliberista, il liberismo è arrivato in ogni angolo della concezione della nostra società convincendo le persone del fatto che diverse cose che sono sempre state parte della società moderna, tra cui i partiti, erano un problema. A me sembra che negli ultimi tempi invece proprio la crisi economica, proprio la grande disuguaglianza, ha spinto le persone quasi istintivamente a riaggregarsi in partiti. Il caso più eclatante è il Labour Party che oggi conta 600 mila iscritti dopo aver toccato i 180 mila alla fine dell’era Blair. C’è un ritorno nelle persone di una consapevolezza della necessità di essere membro di un qualcosa di più grande di te per poterti difendere dai grandi poteri.
Per chiudere, tre affermazioni che oggi sono nel senso comune e che andrebbero rovesciate.
La prima cosa è che lo Stato è inefficiente, che i dipendenti pubblici sono dei fannulloni. Secondo me però questa cosa sta un po’ cambiando. Con la tragedia del ponte di Genova e la risposta successiva, le persone erano a favore della nazionalizzazione di autostrade e lo stesso succede nella sanità perché le persone sanno che, con tutti i suoi limiti, la sanità pubblica funziona in modo molto più efficiente di come la potrebbe gestire un privato. Resta comunque un’affermazione su cui continuare a lavorare. La seconda cosa è il fatalismo rispetto al declino dell’Italia, che ormai avrebbe avuto i suoi giorni migliori e quindi occorre adeguarsi a quello che viene. E’ una cosa orribile perchè mette le persone sulla difensiva, sull’arrendevolezza, le porta ad abbracciare questo sentimento nostalgico rispetto a un passato d’oro. In realtà l’Italia ha grandissime opportunità, però occorre un po’ di orgoglio e di senso di appartenenza di essere parte di una grande storia. Che non è affatto nazionalismo, ma è un sano patriottismo. Spesso il nazionalismo becero e brutto viene proprio dalla mancanza di amore verso la propria comunità e le proprie radici, da un sentimento di umiliazione, ma invece occorre coltivare un desiderio che le persone vicine che per motivi culturali si assomigliano di più stiano bene insieme si possa costruire una comunità degna e orgogliosa di sé. Questa per ragioni storiche, per il Papato, il Sacro Romano Impero, è una questione molto problematica perché non abbiamo mai coltivato un sano senso di appartenenza e orgoglio vero il nostro paese che deve essere patrimonio della sinistra e lo è stato a lungo, sebbene nel tempo la sinistra neoliberista abbia guardato con vergogna a queste cose. La terza idea che va rovesciata è che il femminismo sia una battaglia delle donne. Una società sana che vive bene la propria sessualità, la famiglia, il lavoro, lo spazio pubblico è una società in cui è parte del senso comune, non solo parte delle persone che prendono la metropolitana, di alta classe media e che fanno studi di genere, l’idea che ci sia bisogno di rapporti sani, produttivi e bilanciati tra uomini e donne, dove è patrimonio di tutti che il rispetto verso tutte le persone è un fondamento centrale della società. Ci sono stati dei passi avanti nel mondo e anche in Italia, penso al fatto che i padri ormai passano molto più tempo con i figli, al fatto che l’omosessualità non è più un problema, ma occorre fare ancora un lavoro su questo. Bisogna capire che la misura della vittoria è quanto questa concezione diventa veramente parte del senso comune.
Gradirei solo non fosse confusa l ideologia con il pregiudizio. Credo sia di fondamentale importanza per evitare di paragonare il falso col vero : il pregiudizio è sempre falso ,l ideologia si fonda su verità scientifiche
Io direi che il pregiudizio non è sempre falso.
Il rapporto fra pregiudizio e verità è, semplicemente, casuale e inessenziale.
Nè, in realtà, si può dire che l’ideologia si fondi su verità scientifiche.
“Ideologia” è termine cui sono stati dati molti significati, ma è soprattutto la costruzione di una visione del mondo a partire da un punto di vista, che ha sicuramente un rapporto più stretto con la verità … talvolta, nelle forme ideologiche di tipo religioso, anche con la Verità … ma non è detto che abbia a fondamento verità scientifiche.
Per qualche ortodosso, “ideologia” è la falsa coscienza della borghesia, che trova nell’economia politica la sua scienza e nello scambio fra pari l’astrazione idealistica di relazioni sociali sostanzialmente ineguali.