La nostra società presenta bisogni dinamici, mutevoli e complessi e dissimmetrie strutturali che caratterizzano i flussi globali in cui vivono i nostri territori. In questo quadro, gli agenti di cambiamento devono saper ricomporre i saperi e dare risposte alla complessità
Siamo in un periodo storico in cui una serie di dissimmetrie strutturali caratterizzano i flussi globali in cui vivono i nostri territori. Ne cito solo alcune. Una traslazione fra coscienza e conoscenza: i processi di mutamento tecnologico sono superiori alle capacità delle persone e delle comunità locali di metabolizzare questi cambiamenti, di accomodarsi, e di costruire attorno a questi un’etica e una cultura per poterli governare e gestire. Questo crea una situazione di stress collettivo irreversibile dagli anni ’70-’80, e che anzi nel tempo è diventata progressiva. Siamo in una situazione di disarmonia tra i poteri tecnologici e finanziari che sono globali e le democrazie che continuano ad avere un carattere fortemente locale. Questa accelerazione e questa forte complessità determinano una situazione di incertezza permanente e rendono più complesse le questioni che riguardano lo sviluppo locale e lo sviluppo della conoscenza. Uno dei risultati di questa disarmonia, in ambito delle discipline scientifiche, tecnologiche, legate alle ipotesi di sviluppo locale, è stata una reazione di difesa e di forte frammentazione, per cui la conoscenza o è iperspecialistica o è superficiale e nanometrica. A fronte di bisogni dinamici, mutevoli e complessi molto spesso ci sono o risposte ipersettoriali, o rispose molto superficiali che non sono minimamente in grado di interfacciarsi con questa società irriducibilmente complessa. Abbiamo bisogno di luoghi, di competenze, di persone che facilitino la ricomposizione dei saperi, senza negare le epistemologie di ciascuna disciplina. Per me gli agenti di cambiamento sono persone che partono loro stessi da competenze specialistiche forti, ma che hanno una capacità maieutica di tirar fuori elementi che poi vanno a comporsi in maniera organica con altri elementi e che sanno facilitare queste ricomposizioni.
Sui territori queste persone sono chiamate a confrontarsi con una complessità che ha diversi livelli e diverse facce. C’è una complessità di competenze tecnico-scientifiche e di saperi, c’è una complessità di soggetti e di attori, c’è una complessità anche di linguaggi. Penso al progetto Capacity: linguaggi e competenze di persone che vivono da quattro generazioni nelle baracche sono molto diverse dai linguaggi e dalle competenze delle persone che li hanno accompagnati in termini tecnici e finanziari per la scelta e l’acquisto della casa. Questo tipo di complessità, quando riesce a costruire ricomposizioni che vanno incontro ai desideri e ai bisogni delle comunità locali diventano generative di alternative sulle principali aree dei funzionamenti umani: diritto alla casa, al lavoro, alla conoscenza e alla socialità. Una politica di cambiamento deve avere due pilastri: da una parte azioni verso sistemi per generare alternative, dall’altra parte ripensare welfare come modelli personalizzati per accompagnare le persone più fragili a riconoscere, a metabolizzare e a scegliere fra le nuove opportunità quelle che sono più funzionali a vivere la vita che vorrebbero vivere.
Policy intelligenti, che hanno questo livello di complessità, che sono capaci di mettere assieme sistema produttivo, sistema della conoscenza, sistema di ricerca e sviluppo, capacità politiche per attrarre talenti creativi e scientifici, programmi di rigenerazione urbana, che hanno quindi una complessità forte di contenuti e un intreccio di piste di lavoro, possono, anzi oggi devono diventare generative di opportunità, proprio declinando pratiche che sono collegate alla transizione ecologica dei territori. Una complessità di pensiero finalizzata a costruire modalità connesse alla transizione ecologica può rendere i territori generativi di opportunità. Questo penso che sia la modalità più intelligente in questa fase storica per praticare giustizia ambientale generando libertà per le persone più fragili, e quindi praticando forme di giustizia sociale.