Il testo è del Card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana.
Prendersi cura del prossimo, attraverso piccoli e grandi gesti di cura per il creato, la sobrietà nell’uso delle risorse e l’attenzione alle pratiche quotidiane che divorano il nostro pianeta, a discapito dei più poveri e delle generazioni future.
Oggi viviamo un tempo di scelte e di richiamo all’azione, temi che interpellano ciascuno di noi e che sono ricorrenti nell’enciclica Laudato Si’. È tempo di sottolineare l’importanza dell’assunzione di responsabilità, a ogni livello, a partire dal nostro, personale, per contrastare la cultura dell’indifferenza e dello scarto.
Dobbiamo raccogliere le sfide che vengono da un mondo che sta attraversando una crisi profondissima di valori oltre che finanziaria, economica, sociale. Dice chiaramente l’Enciclica: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (LS 139). È dunque necessario che ci poniamo in un atteggiamento di ascolto e di riflessione, al fine di identificare i principi su cui basarci e le priorità da perseguire. Ma quale comunità internazionale è chiamata a queste sfide? È una comunità divisa, in preda alle tensioni ed ai conflitti, spinta spesso più dalla paura che dalla ricerca di una nuova e ampia prospettiva per il bene dell’umanità. È in questo scenario che irrompe la proposta di Papa Francesco, che spinto da una “una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta” (LS 19), ci ricorda il destino dei più poveri. Tutto è legato, afferma il Papa, e ci chiede, come comunità cristiana, di assumere un atteggiamento attivo e concreto, in unione con “tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (LS 13). Una prospettiva di mondialità, di inter-connessione dei fenomeni, di carità intelligente.
Non possiamo dunque ignorare le tensioni che si presentano di fronte ai nostri occhi; né possiamo pensare che il genere umano potrà trovare una via di uscita attraverso una soluzione di ‘giusto mezzo’ (LS 194), in cui si cerca di accomodare tutti gli interessi in gioco; perché così facendo non si fa altro che trovare il modo per ‘un piccolo ritardo nel disastro’.
Come cristiani e come cittadini, sinceramente preoccupati per l’umanità tutta, presente e futura, possiamo operare grandi cambiamenti attraverso piccoli e grandi gesti di cura per il creato: con la sobrietà nell’uso delle risorse che abbiamo a disposizione e con l’attenzione alle pratiche quotidiane che divorano il nostro pianeta, a discapito dei più poveri e delle generazioni future. In questo impegno deve però svilupparsi un pensiero più ampio, rivolto alla costruzione di una economia e di una finanza più giuste, dove le persone non siano soltanto delle pedine di meccanismi orientati all’accumulazione di una ricchezza sempre più grande nelle mani di pochi. Lo studio delle cause e del funzionamento di questi meccanismi costituisce un ambito prioritario di attenzione per poter dialogare con quanti sono ugualmente preoccupati per i destini dell’umanità e del pianeta, fornendo un contributo consapevole e fondato sul Vangelo, in “un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi” (LS 197). Siamo consapevoli della complessità delle questioni in gioco; ma siamo ugualmente consapevoli che solo attraverso l’impegno di tutti sarà possibile realizzare quanto appare oggi urgente ed ineludibile. Abbiamo bisogno gli uni degli altri ed abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo (LS 229).
È per questo che dobbiamo tornare a farci carico del nostro prossimo. Soprattutto dei più vulnerabili e dei meno tutelati, come le tante, troppe, famiglie e persone nel disagio che vivono nelle nostre città, alle quali si aggiungono quelle che arrivano fuggendo da fame, guerre, povertà, persecu-zioni, e che il mondo ricco si rifiuta di riconoscere parte della stessa famiglia umana. Manca ancora in molti casi l’attenzione dovuta in generale nei confronti dei più poveri e in particolare nei riguardi dei profughi e dei migranti, che a migliaia lasciano ogni cosa, e troppo spesso anche la vita, nella speranza di condividere le briciole del ricco epulone, e che rappresentano invece una elementare richiesta di giustizia. Si tratta di una mancanza che si avverte spesso in termini di azioni concrete, ma forse ancor di più in termini di assenza di una cultura dell’accoglienza e della fraternità che ci porta a vedere queste persone come una minaccia per le nostre ben sorvegliate cittadelle di privilegio.
Si tratta perciò di rimboccarsi le maniche e trovare la giusta articolazione per il nostro impegno su tre versanti: quello relativo all’educazione; quello relativo alla costruzione di reti, sinergie, convergenze, sia a livello nazionale che in ogni territorio; quello relativo al dialogo con le istituzioni.
Il tutto a partire da quella solidarietà concreta che si fa carezza, tenerezza, abbraccio, vicinanza alle sorelle e ai fratelli nel bisogno. Altrimenti le nostre sarebbero parole vuote.