Su twitter è nato un dibattito sul ruolo dei think tank come luoghi di elaborazione, di confronto e di diffusione di idee e proposte di politiche pubbliche. Il ForumDD ha deciso di ospitare alcuni approfondimenti utili al confronto. Il contributo di Giacomo Bottos*
Il dibattito ospitato su queste pagine sul ruolo dei think tank nello sviluppare idee e traiettorie di cambiamento – con i contributi di Martino Mazzonis, Mattia Diletti, Simone Tulumello, Filippo Barbera e Marco De Ponte – solleva questioni fondamentali.
Per proseguire la riflessione sulle forme organizzative e di elaborazione necessarie ad un progetto “contro-egemonico”, tre concetti sui quali riflettere sono quelli di coerenza, efficacia e partecipazione. A prima vista questi concetti sembrerebbero quasi costituire un trilemma: si può avere coerenza ed efficacia limitando la partecipazione; coerenza e partecipazione rinunciando all’efficacia; mentre efficacia e partecipazione sembrano implicare una riduzione della coerenza. Ma pensare insieme questi concetti è inevitabile per chi immagini un reale cambiamento. Come fare? Ecco alcune considerazioni per punti:
- Interlocutori tipici dei think tank tradizionali sono le istituzioni e i rappresentanti politici, destinatari di proposte politiche, il sistema mediatico, strumento principale per acquisire visibilità e influenzare il senso comune e i finanziatori che, nutrendo varie forme di interesse nell’attività del think tank, la sostengono.
- Il pubblico – termine non casuale – esiste per il think tank o come destinatario di un’influenza mediatica o come oggetto di indagine. Può essere coinvolto tramite focus group o metodi analoghi ma non è, in linea di principio, prevista alcuna sua reale partecipazione, né nella definizione degli obiettivi della ricerca, né nella presa di consapevolezza dei suoi risultati. È, al massimo, il destinatario di una produzione discorsiva utile a influenzare opportunamente il senso comune.
- Il think tank come sopra tratteggiato si inserisce pienamente nella costellazione post-democratica, definita da Colin Crouch. Il rapporto dei decisori e dei partiti politici con la società, prima mediato da diversi gradi di partecipazione secondo un modello a cerchi concentrici, viene sostituito da uno stretto legame “ellittico” con un mondo di esperti, consulenti, rappresentanti di interessi e, appunto, centri di elaborazione.
- Lo spazio pubblico si restringe e si polarizza tra una parte riservata agli addetti ai lavori ed una destinata al pubblico, oggetto di fenomeni di personalizzazione e spettacolarizzazione.
- Se ci si propone di redistribuire il potere e restituire significato alla democrazia non si può ignorare, dunque, il tema della partecipazione, anche nell’ambito dell’elaborazione e nelle definizione delle idee che ispirano l’azione collettiva.
- Al tempo stesso occorre fare estrema attenzione alle forme di questa partecipazione, poiché in questo passaggio si annidano rischi molteplici. La battaglia delle idee, come evidenzia Diletti, è operazione di estrema complessità, che parte da un terreno sfavorevole. Se infatti, come sottolinea Mazzonis, vi è certamente una predisposizione nella società ad allontanarsi dal “business as usual”, questa predisposizione può orientarsi in direzioni molto diverse tra loro, alcune delle quali deleterie.
- Requisito fondamentale resta dunque la coerenza di fondo dell’operazione che si sta conducendo. Tale coerenza rimarrebbe però sterile se non si traducesse in efficacia. Per questo serve un’intensa riflessione sui linguaggi, sui mezzi e sul loro uso. E questa riflessione va calata nella concretezza dei rapporti di forza.
- Tutto questo però va pensato e coniugato con la massima apertura, intesa come obiettivo da attuare progressivamente e come “dialogo” che salvaguardi il nucleo fondamentale del progetto, ma che attinga tutto il possibile in termini di conoscenza, declinazione, sviluppo e adattamento ai contesti. Da questo punto di vista l’esperienza del Forum rappresenta un modello di grandissimo interesse. Occorre inoltre promuovere un’azione che miri a ridurre il dualismo tra addetti ai lavori e resto della società, coinvolgendo cerchie più ampie in un dibattito i cui elementi possono essere acquisiti solo lentamente.
- Uno dei maggiori ostacoli all’affermarsi di discorsi alternativi sta nella loro relativa complessità e distanza dal senso comune attuale. Occorrerebbe dunque escogitare forme di semplificazione intelligente che inducano ad un approfondimento possibile e, al tempo stesso, costruire gli strumenti attraverso i quali questo approfondimento possa avvenire.
- Tutto questo richiede moltissimo lavoro, di elaborazione e di organizzazione, che nel suo complesso non può essere portato avanti da nuclei ristretti. Occorre che nuove classi dirigenti diffuse che se ne facciano carico. Andrebbe dunque criticata la rappresentazione di una contrapposizione netta tra “élite” e “popolo”. Il problema è invece: come agiscono le classi dirigenti e da cosa nasce la loro legittimazione? Un progetto che miri a fornire alle persone gli strumenti per capire e per decidere sulle direzioni fondamentali della società potrebbe essere fonte di una nuova e robusta legittimazione per le classi dirigenti che volessero impugnarlo.
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