L’intervista a Fabrizio Barca è di Lorenzo D’Albergo ed è stata pubblicata sull’edizione romana di Repubblica l’8 dicembre 2019.
“Non si fa niente se non c’è una speranza”. Per Fabrizio Barca, coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità, Roma può ancora uscire dal torpore in cui pare essersi adagiata. L’ex ministro per la Coesione territoriale del governo Monti prende spunto dalle 149 differenze analizzate dallo studio di #Mapparoma e getta le basi per una possibile terapia. “I dati sul reddito di cittadinanza parlano chiaro – spiega Barca – e restituiscono la distanza tra Tor Bella Monaca e i Parioli. Ma non va tenuto in considerazione solo il confronto tra periferie e centro. Il numero di laureati, di disoccupati, di scuole e di piazze. Il dossier di Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi divide la capitale in 155 aree e indica più di un settore di intervento. Così si può rileggere Roma.”
Non solo l’indicatore del reddito di cittadinanza quindi.
“No, guardate le mappe dello studio. Nelle periferie oltre il Gra, quelle che Walter Tocci chiama isole, c’è un grande campo rosa. Lì si laureano più donne che uomini. Ma non lavorano. Ecco, per esempio, un punto su cui lavorare. Oppure l’incidenza delle campagne, che negano la natura di metropoli che qualcuno vorrebbe affibbiare a Roma. Viviamo in una galassia inframmezzata dalla campagna. Poi ci sono le aree deindustrializzate lungo le consolari, dove nascono occupazioni e spazi attivi. Ognuna di queste intuizioni può aiutare a capire cosa fare. A ripensare e rileggere la città”.
Chi dovrebbe lavorare su questi input. La politica?
“Le responsabilità della classe dirigente di centrosinistra e centrodestra nei confronti della capitale sono evidenti. Sono stati commessi troppi errori”.
Eppure i partiti, vecchi o nuovi, sono sempre lì. Lei a chi affiderebbe il tesoro di informazioni di #Mapparoma?
“Il Pd e il Movimento 5 Stelle non ce l’hanno fatta. Quello dei 5S è stato un tentativo generoso, ma non sono riusciti a portare in Campidoglio le idee che avevano”.
E la Lega di Salvini oggi va a pescare voti nelle periferie che avevano scelto i 5S.
“La destra non ha il problema di avere una visione della città. Aizza la rabbia e la fomenta, coprendo nel frattempo i peggiori interessi economici”.
Restano le 155 aree di Roma, fuori e dentro il Raccordo, e i 150 indicatori che le mettono a confronto. Eliminata la politica, chi può farsi interprete del cambiamento?
“Ogni area ha circa 19mila abitanti. E in media 590 attivisti, cittadini con una storia. La visione romana della mobilitazione può essere una visione di quartiere. Tante storie e tante intelligenze da mettere a sistema”.
Che Roma sia divisa, che si regga su disuguaglianze e fratture, è chiaro. E’ l’unica grande città a trovarsi in questa situazione?
“Il confronto tra periferia e centro funziona anche altrove. Prendiamo Torino, dove la distanza tra i dati sulla speranza di vita e sul successo delle operazioni al femore tra chi vive nell’area storica e chi al di fuori fa paura. Se penso a Milano, vedo il quartiere San Siro realizzato durante il fascismo. Basta una passeggiata per dire “evviva Palermo”. Roma è diversa da tutte le altre. Non è una media città, ha visto le sue differenze accentuarsi negli anni. Ora sono disuguaglianze eclatanti.
Un esempio?
“Le periferie storiche e quelle fuori dal Grande raccordo anulare a cui le prime hanno voltato le spalle. Invece il fermento che ogni quartiere ha e può esprimere dovrebbe essere sistematizzato”.
Da chi?
“Data la scarsa credibilità dei partiti, questa molla può scattare anche da noi. Da #Mapparoma, per esempio, con una prova su 10 delle 155 aree. Vanno invitate a tirare fuori idee concrete sulla gestione della differenziata, sulla scuola, sui trasporti. Questo processo farebbe emergere dei leader dal basso, invece di imporne uno dall’esterno che non ha la capacità di mediazione”.
Resta il Campidoglio. Tra un anno e mezzo si vota. Lei che ha studiato e conosce così a fondo la realtà dei circoli Pd sarà della corsa?
“No. Lavoro a livello nazionale con il Forum disuguaglianze. Potrò dare una mano a questi processi di automobilitazione per proporre uno scenario alternativo a quello che c’è stato fino a questo momento. Il tema non è il consenso, ma la conoscenza”.
Che vuol dire?
“Penso alla lotta per la casa. Ci sono 60.000 richiedenti, 4.000 assegnatari l’anno, migliaia di case vuote e tante occupazioni”.
Questioni che si affrontano con i tecnici di Comune e Municipi.
“Le ex circoscrizioni, per come sono pensate, non riescono a garantire il rapporto tra cittadini e istituzioni. Sarà sempre più importante il ruolo dei quartieri, dei comitati, dei programmi comunitari. Non è utopia, va solo trovata la quadra”.