Una proposta d’intervento di Ricomporre i Divari che interpreta lo spazio costiero del nostro paese quale infrastruttura fondamentale per il benessere di tutti i cittadini
Le coste sono tra i contesti geografici italiani che hanno subìto più trasformazioni nell’ultimo secolo. Lo spostamento sulla costa della popolazione interna e i processi di infrastrutturazione, urbanizzazione e turistificazione hanno consumato suolo irrigidendo l’interfaccia mare-terra e interferendo col regime idraulico dei litorali. Tali processi hanno altresì compromesso ecosistemi preziosi e accelerato dinamiche quali la salinizzazione delle falde e l’erosione costiera. A tutto ciò oggi si aggiungono le gravi preoccupazioni relative agli scenari di cambiamento climatico e innalzamento del livello del mare che interesserebbero buona parte dei circa 8000 km di coste italiane.
In questo quadro possiamo richiamare almeno quattro nodi in cui si intrecciano aspetti ambientali, sociali ed economici che a nostro avviso dovrebbero costituire i termini di riferimento per ogni futura riflessione strategica sulle aree costiere.
Lo spazio costiero italiano è anzitutto uno spazio il cui libero accesso è limitato, con le concessioni del demanio marittimo a imprenditori privati che interessano oltre la metà delle spiagge sabbiose a livello nazionale (nei tratti di costa liguri e romagnoli tale quota supera il 70%) a fronte di canoni concessori troppo esigui.
Si tratta poi di uno spazio insalubre, col 7,8% delle aree costiere italiane interdette alla balneazione per ragioni di inquinamento delle acque e con una diffusa assenza di monitoraggio e informazione. A causa di ciò si continua a fare il bagno o a praticare sport acquatici in molti luoghi formalmente dichiarati non balneabili con la conseguente esposizione della popolazione a varie forme di rischio per la salute.
Ancora, si tratta di uno spazio investito da emergenti fenomeni di periferizzazione che riguardano gli insediamenti più decaduti e i segmenti meno qualificati dello stock di ex case di villeggiatura; situazioni ove si concentrano popolazioni marginali e immigrate e che in taluni casi – come lungo il litorale Domizio – diventano problematici luoghi di esclusione e segregazione su base etnica.
Si tratta, infine, di uno spazio a rischio, in particolare nelle sue componenti edilizie più esposte agli effetti dell’erosione costiera e dell’innalzamento del livello medio del mare; un’esposizione che si fa particolarmente problematica per i molti edifici di origine abusiva prossimi agli arenili e critici in termini di impatto paesaggistico sui quali l’azione di demolizione è stata fino ad ora poco incisiva.
La premessa necessaria per scardinare gli assetti consolidati e le dinamiche che contribuiscono alla riproduzione di varie forme di disuguaglianza spaziale, sociale e ambientale è riconoscere la costa come una infrastruttura fondamentale per il benessere di tutti i cittadini – in primis per coloro che la abitano stabilmente – per garantirne una fruizione sostenibile, equa e democratica. La costa del futuro che immaginiamo è uno spazio riorganizzato nelle sue modalità di accesso, uso e gestione, riequilibrato sotto il profilo ecologico e della legalità, bonificato e alleggerito del suo attuale carico insediativo.
Entro questa visione proponiamo di riconoscere quattro linee d’azione integrate che mirano ad affermare alcuni diritti fondamentali in relazione allo spazio costiero.
Una prima linea d’azione riguarda il diritto a una libera e gratuita fruizione delle spiagge e delle coste. Tale diritto dovrebbe stare alla base di un riordino delle modalità di gestione del demanio costiero, un riordino necessario non soltanto per ottenere concessioni più eque, ma anche per qualificare e indirizzare queste verso obiettivi di maggiore sostenibilità ambientale. Entro tale prospettiva occorre definire: a livello nazionale, le quote massime ammissibili di spiagge balneabili offerte in concessione in un determinato territorio costiero; a livello regionale, bandi e procedure per il rilascio delle nuove concessioni che premino progettualità virtuose in chiave sociale ed ecologica tenendo conto delle specificità idro-geomorfologiche e botanico-vegetazionali degli ambiti costieri.
Una seconda azione riguarda il diritto a una balneazione sicura in acque salubri. Due principali fronti di lavoro sembrano necessari in questo senso. In primo luogo, al fine di favorire una conoscenza accurata della qualità chimica, fisica e batteriologica delle acque, occorre progettare un unico e capillare sistema di monitoraggio della qualità delle acque costiere sul modello dei sistemi di monitoraggio dell’aria. In secondo luogo, poiché la qualità dell’acqua in prossimità delle coste deriva in gran parte da come si progetta il ciclo dell’acqua nei territori costieri e subcostieri, va perseguita una maggiore integrazione dei Piani di Assetto Idrogeologico con i Piani di Tutela delle Acque, considerando insieme aspetti che vanno dall’attenzione alla permeabilità dei materiali del progetto urbanistico, alla pianificazione di sistemi di depurazione capaci di far fronte ai periodi di massima utenza legata alla stagione balneare.
Un terzo tema riguarda poi la concezione della spiaggia quale spazio pubblico democratico e accessibile a tutti, con una particolare attenzione ai quartieri urbani periferici e meno dotati di servizi e attrezzature collettive. Si tratta in questo caso di intervenire dentro e ai margini di tali quartieri ricostruendo il loro rapporto con la costa mediante la progettazione di nuovi spazi pubblici nella forma di “spiagge-parco”: spazi in grado di garantire – più che i tradizionali waterfront urbani – un rapporto più diretto col mare, e di favorire una positiva percezione dei quartieri da parte degli abitanti proprio grazie alla riconquista di un migliore rapporto col mare.
Un’ultima linea di azione ha a che vedere con una politica fondiaria di acquisizione di nuove aree pubbliche da annettere al demanio marittimo al fine di garantirne l’esistenza nel futuro scenario di innalzamento del livello dei mari e di erosione costiera. Una politica che dovrebbe agire: da un lato sulle aree pubbliche maggiormente segnate dalla presenza di interventi quali grandi infrastrutture, impianti industriali, centrali energetiche e poligoni militari, ovvero su quelle aree da risarcire mediante bonifiche e rinaturalizzazioni o, nei casi di grave incompatibilità ambientale, da liberare definitivamente dagli elementi antropici; dall’altro lato dovrebbe intervenire sul patrimonio edilizio privato ubicato sulle coste più a rischio, rilocalizzando gli immobili mediante “programmi di trasferimento” (relocation programs) già sperimentati in altri paesi e mettendo a punto meccanismi più efficaci per una diffusa rimozione degli immobili abusivi non sanabili e più vicini al mare.
Queste azioni implicitamente rimandano al disegno di una Strategia nazionale per le aree costiere, che potrebbe stare in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e che dovrebbe concepirsi come elemento di raccordo tra direttive, istituzioni e strumenti di pianificazione che già operano, seppure entro settori e a livelli istituzionali diversi, in coerenza col cambio di paradigma auspicato. Entro questa prospettiva, oltre a finanziamenti stanziati a livello centrale, tale strategia potrebbe vincolare le rendite provenienti da rinnovate concessioni demaniali e da una più rigorosa tassazione della ricettività turistica costiera a investimenti nella messa in sicurezza, nel disinquinamento, nella de-antropizzazione e rinaturalizzazione delle medesime aree costiere – oltre che nella fornitura di servizi essenziali per chi le abita stabilmente. Uno schema di finanziamento che, collegando il prelievo fiscale nelle aree costiere “forti” all’investimento in quelle maggiormente minacciate e degradate, attuerebbe un’azione di perequazione territoriale allargata e di attenuazione dei divari.
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