Esistono strade percorribili per rendere le imprese capaci di contribuire alla sostenibilità e alla giustizia sociale, bilanciando al loro interno gli interessi di diversi stakeholder? Le proposte per introdurre la democrazia economica nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Nel documento prodotto dal ForumDD a commento del Piano di Ripresa e Resilienza, abbiamo suggerito di introdurre, come dimensione strategica trasversale, lo sviluppo della democrazia economica. Non si tratta di un’area di spesa, poiché le risorse a questo fine utili sono le stesse dei vari interventi settoriali purché utilizzate appropriatamente nella scelta delle forme e condizioni di attuazione, ma è un nodo centrale per due ragioni.
La democrazia economia è sia un mezzo per garantire la progettazione, attuazione e monitoraggio del piano, prevenendo i tentativi (che ci saranno inevitabilmente) di catturarne le risorse senza cura per gli esiti e gli effetti degli interventi, sia un valore a sé, poiché fa tutt’uno con la lotta alle disuguaglianze che originano nella distribuzione iniqua (nel mercato) dei poteri di decisione.
Si proporne l’articolazione della proposta su due livelli.
Il primo è quello macro/meso, in cui si suggerisce di estendere il dialogo sociale a livello regionale e territoriale (ciò multilivello) con comitati per la responsabilità sociale condivisa nell’attuazione del recovery plan, dove la partecipazione dei soggetti istituzionali locali, rappresentanza di imprese, sindacati, cittadinanza attiva e terzo settore, università, prenda la forma non di luoghi di negoziazione per l’appropriazione delle risorse, bensì di democrazia deliberativa, coerente con finalità di bene-essere e criteri di giustizia sociale, che richiedono che la partecipazione al processo soddisfi requisiti di imparzialità delle argomentazioni portate al foro deliberativo.
Il secondo è quello micro, del tessuto delle imprese e delle organizzazioni economiche del paese che saranno variamente interessate dalle attività connesse al piano. A questo livello si possono determinare cambiamenti strutturali nelle forme di governance delle transazioni economiche, che durino nel tempo.
In particolare si ripropone l’introduzione dei consigli del lavoro e della cittadinanza nelle imprese, come concreta strada per avviare la riforma del governo di impresa in Italia. Cosicché, attraverso la rappresentanza nei consigli dei lavoratori e dei cittadini con interessi ambientali, l’impresa persegua un equo bilanciamento tra il profitto e interessi di altri stakeholder – tutti i lavoratori coinvolti nella catena del valore, e le comunità interessate agli impatti sociali e ambientali cioè alla sostenibilità. Così si risolve il problema della responsabilità sociale delle imprese rispetto alle finalità generali (occupazionali, ambientali ecc.) dell’uso delle risorse che alimenteranno e consentiranno all’economia reale di rispendersi, salvando il tessuto delle imprese. Cioè il tema delle condizionalità richieste per aversi accesso. L’articolo proporne infatti che i consigli debbano esser istituiti in tutte le imprese che partecipano ai progetti previsti e finanziati dal recovery plan.
La seconda proposta è il sostegno allo sviluppo di imprese sociali democratiche e non profit (quindi non capitalistiche), prevalentemente cooperative. A differenza delle prime, per le quali si cerca un equo bilanciamento tra profitto interessi di altri stakeholder, le imprese sociali democratiche possono esser viste come organizzazioni economiche che perseguono, grazie al loro scopo sociale, le finalità generali, sociali e ambientali del piano, all’interno di una visione della giustizia sociale. Le imprese sociali possono avvalersi di un capitale sociale direttamente rivolto al raggiungimento di queste finalità, poiché il loro accordo costitutivo attiva motivazioni e aspettative direttamente rivolte a questi scopi non egoistici grazie all’esperienza dell’autogoverno e dell’autodeterminazione. Ciò accade, però, solo se esse sono veramente governate in modo democratico.
Se perciò si riesce a difendere e diffondere il modello dell’impresa sociale democratica, l’articolo suggerisce che questa forma di impresa possa esser sperimentata in una varietà di campi toccati dal piano di recovery, ben oltre il fronte della lotta alle povertà.