Una proposta di intervento di Ricomporre i Divari per i “territori intermedi” del nostro paese, focalizzata su transizione ecologica e riconnessione territoriale delle filiere produttive.
Fuori dalle aree interne e dai capoluoghi delle città metropolitane, in non pochi territori periurbani dell’urbanizzazione diffusa e città medie, è possibile osservare ambiti territoriali contraddistinti da vicende evolutive differenziate. In molti casi si tratta o di territori che hanno avuto una rapida e spesso incontrollata crescita per via dello sviluppo di buona parte della manifattura italiana, o, anche, in misura minore e specialmente nel Mezzogiorno, di profili industriali di stampo fordista legati all’azione statale e di agricolture intensive. Uno sviluppo a volte congiunto, a volte autonomo rispetto ai processi di urbanizzazione, che ha generato una contenuta ma spesso costante crescita della popolazione fuori dall’orizzonte delle grandi città. Questo sviluppo non è stato quasi per nulla regolato nel suo profilo urbanistico-ambientale, né tanto meno inquadrato all’interno di una qualche esplicita visione di trasformazione territoriale. Ne è conseguito, da un lato, una crescente criticità ambientale dovuta agli elevati consumi del suolo, alla frammentazione degli spazi aperti, alla moltiplicazione di suoli inquinati, oltre che al rilevante inquinamento dell’acqua e dell’aria; dall’altro, un faticoso funzionamento di questi territori e una tenuta sempre minore, per l’incoerenza tra insediamenti disordinati e reti della mobilità. Infatti, la pessima combinazione e composizione delle infrastrutture e delle attrezzature della vita quotidiana (non necessariamente carenti in valore assoluto, ma senz’altro mal relazionate con la specificità fisico-morfologica ed economico-socio-ambientale, nonché pessimamente composte tra loro), si è sovrapposta all’eccesso di introversione e specializzazione di ogni componente insediativa e conseguente carenza di plasticità del sistema nel suo complesso.
Entro questo quadro sono emersi modelli insediativi caratterizzati da un metabolismo inefficiente: dinamiche e flussi dei sistemi urbani (spostamenti di persone e beni, risorse ambientali, energia e persino informazioni) non risultano ottimizzati a livello locale e di prossimità, richiedendo al contrario enormi dispendi di energie propri di un sistema entropico con limitata capacità locale di rispondere alle sollecitazioni esterne di shock e stress.
Per questa Italia né area metropolitana né area interna, di margine metropolitano o “di mezzo”, che è spesso sembrata in grado “di fare da sé” o che, nel migliore dei casi, è stata coinvolta da politiche economiche totalmente focalizzate sulle ragioni delle imprese e della produzione, emerge dunque l’esigenza di una politica territoriale di più ampio raggio, in grado di promuovere azioni di rigenerazione insediativa, riqualificazione ambientale e reinfrastrutturazione mirata. Una politica territoriale che non metta al centro solo lo sviluppo edilizio delle periferie residenziali con il mantra del mattone come volano di tutte le economie, ma parta dagli spazi e dai territori della produzione (e della logistica), di cui forse la crisi del Covid-19 ha mostrato sia l’estrema fragilità (ne sono stati i principali epicentri), sia la fondamentale importanza (sociale, oltre che economica).
La proposta intende sottolineare la necessità di promuovere un’azione volta a favorire la rigenerazione e la valorizzazione di questi territori della produzione allargando l’azione pubblica dalle sole imprese al capitale territoriale entro cui esse operano, pur con un loro diretto coinvolgimento magari in forme consortili pubblico-private. La proposta operativa prevede di procedere anzitutto all’individuazione di 30 ambiti sovracomunali esemplari (con un massimo di 3 per Regione), non necessariamente distrettuali, che presentino un doppio ordine di criticità: una più propriamente economico-sociale e una più propriamente ambientale-urbanistico-territoriale. Entro tali ambiti saranno poi delineate possibili azioni dedicate agli spazi della produzione: dalle aree industriali dei distretti manifatturieri, agli ambiti dell’allevamento intensivo, alle coltivazioni in serra e delle agricolture intensive e specializzate, dal forte impatto ambientale.
Si tratterà più precisamente di: a) migliorare le dotazioni tecnologiche, promuovendo impianti anche su base associativa e consortile che favoriscano i processi di riconversione ecologica delle produzioni, con la riduzione di emissioni inquinanti, migliore trattamento dei rifiuti e con la chiusura dei cicli energetici e di materia (vincolando, rispetto all’uso del suolo, processi di nuova espansione industriale alla rinaturalizzazione di ambiti non riutilizzabili a fini produttivi); b) potenziare le connessioni con il territorio, aumentandone al tempo stesso il livello di “urbanità”, l’inserimento nel quadro paesistico-ambientale circostante e le forme di accessibilità e di mobilità sostenibili; c) promuovere progetti formativi mirati e coerenti con il sistema produttivo locale, di alta formazione e specializzazione, di alternanza scuola-lavoro, nonché azioni a sostegno dell’innovazione tecnologica che contribuiscano a mantenere (o a far ritornare) attrattivi i territori in cui le aree produttive sono insediate, in particolare, per quelle imprese che impiegano capitale umano qualificato e producono prodotti con elevato valore aggiunto.
Potranno quindi essere finanziati interventi: tecnologici, legati al potenziamento delle reti digitali, alla gestione dell’energia, delle acque e al trattamento dei rifiuti; di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, ambientale e architettonica degli spazi delle aree produttive; infrastrutturali e gestionali di promozione della mobilità dolce e sostenibile delle persone e delle merci. Ogni progetto dovrebbe avere una dotazione di 20 milioni di euro per un totale di 600 milioni di euro (in parte fondi strutturali; per le aree produttive agricole dal PSR) che potrebbe venire da un ricorso attento e coordinato dei vari strumenti comunitari in campo (coesione; PSR; Next Generation EU; Green New Deal).