Inserire i dati di mortalità del mese di marzo in un quadro temporale più ampio, articolare l’analisi della mortalità differenziale per età e sesso, per nazionalità e tipologia familiare, assicurare tempestività e continuità nel tempo a queste analisi della mortalità differenziale. I compiti della statistica ufficiale in questa difficile fase della vita del paese. Un nuovo approfondimento di Gianluigi Bovini, Manlio Calzaroni, Piero De Chiara, Mauro Masselli*
In questi giorni, per iniziativa dell’Istat, di alcune amministrazioni comunali e di inchieste giornalistiche, iniziano a emergere i dati sulle persone decedute nei primi mesi dell’anno e in particolare nel mese di marzo 2020. Speriamo nei prossimi giorni di potere disporre di un quadro esauriente del fenomeno, con dati relativi all’intero mese di marzo e disponibili per tutti i comuni.
Chiediamo quindi che vengano resi pubblici i dati per tutti i comuni validati, indipendentemente dal dato sulla crescita dei decessi (filtro introdotto, secondo noi erroneamente, nel primo rilascio) e che questi dati siano aggiornati, ma anche trattabili con le applicazioni maggiormente diffuse. In una situazione di emergenza può essere necessario accentrare le decisioni, non le informazioni. Garantire la possibilità di analisi anche da parte di gruppi di esperti del terzo settore costituisce un valore aggiunto, che i paesi democratici devono salvaguardare e sfruttare.
Per valutare gli effetti sociali dell’epidemia, c’è inoltre l’esigenza di avere a disposizione i dati di mortalità distinti non solo per categorie anagrafiche e codici Ateco delle attività produttive, ma anche per classi reddituali e di istruzione, ciò che implica una progressiva integrazione di database non anagrafici.
In attesa del perfezionamento del quadro informativo è intanto possibile utilizzare in modo efficace nelle prossime settimane i dati disponibili, per comprendere meglio l’impatto in termini di mortalità del Covid-19 (finora rilevato solo sulla base dei dati sui decessi di persone contagiate, diffusi quotidianamente nella conferenza stampa delle 18 dalle autorità nazionali di protezione civile e sanitarie).
Inserire i dati di mortalità del mese di marzo in un quadro temporale più ampio, che prenda in considerazione anche i decessi avvenuti nel periodo dicembre 2019-febbraio 2020
Il primo confronto da fare sarà sicuramente quello fra i dati dei decessi nel periodo dicembre 2019- marzo 2020 e il valore medio delle morti registrate negli stessi mesi nei cinque anni precedenti (2015-2019). Emergerà in questo modo in ogni realtà investigata una mortalità differenziale, diversificata nei suoi valori assoluti e relativi nelle varie aree del Paese (non solo fra regioni, ma anche all’interno della stessa regione e in alcuni casi della medesima provincia, o addirittura comune). Il dato assoluto di mortalità differenziale per tutte le cause di morte andrà inoltre posto a confronto in ogni comune con il numero dei decessi avvenuti nel mese di marzo in persone affette da Covid-19. Si potrà in questo modo valutare se la stima finora diffusa delle persone decedute risultate positive al Covid-19 non abbia colto la reale dimensione del fenomeno.
Le analisi sulla mortalità differenziale nel mese di marzo 2020 debbono essere sempre collocate in un quadro temporale più ampio, che prenda in esame anche la mortalità intervenuta nei vari comuni nel periodo dicembre 2019-febbraio 2020. I dati finora disponibili a livello nazionale e in alcune realtà locali evidenziano, in quel periodo, valori assoluti della mortalità contenuti, in alcuni casi inferiori ai valori medi stagionali. Da un punto di vista statistico questo permette di affermare che il virus Sars-Cov-2 non aveva prodotto conseguenze evidenti in termini di letalità nei mesi precedenti.
Un ulteriore raffinamento dell’analisi potrebbe essere operato laddove fossero disponibili le statistiche sulle cause di morte, che però scontano un ritardo di 24 mesi e una certa imprecisione nella classificazione.
Articolare l’analisi della mortalità differenziale per età e sesso, per nazionalità e tipologia familiare
Nei comuni più grandi (e per insiemi significativi dei comuni minori, che possono essere identificati nei distretti sanitari) l’analisi della mortalità differenziale dovrebbe sempre articolata secondo alcune variabili, presenti in mondo attendibile nei registri anagrafici e/o nelle schede di rilevazione del decesso: il sesso, l’età, la nazionalità e la tipologia familiare. I dati finora disponibili sui decessi di persone contagiate dal virus evidenziano infatti rischi di letalità molto differenziati per età e sesso, con valori contenuti nella fascia giovane della popolazione e livelli nettamente più elevati nella popolazione anziana. L’analisi della mortalità differenziale complessiva dovrebbe quindi essere sempre articolata per età e sesso, operando i confronti con i dati ufficiali dei decessi di persone contagiate dal virus. Nelle zone dove il contagio ha avuto finora le conseguenze più pesanti si dovrebbe osservare nella mortalità complessiva uno spostamento dei pesi relativi verso le classi più anziane e in particolare verso gli uomini in età avanzata. Queste indagini per età e sesso dovrebbero essere completate da un’analisi delle tipologie familiari nelle quali viveva la persona deceduta: soprattutto fra gli anziani si può esaminare se vivevano soli oppure in coppia o in nuclei familiari allargati e ricostruire le catene del contagio all’interno dei nuclei familiari (più persone contagiate nella stessa famiglia o in nuclei familiari diversi, ma legati da rapporti di parentela o quotidiana frequentazione). Tali informazioni non sono attualmente disponibili ma lo potrebbero essere mediante elaborazioni sui registri anagrafici.
Per quanto riguarda l’aspetto della nazionalità resta al momento confermata un’incidenza quasi trascurabile del contagio in termini di letalità degli stranieri residenti in anagrafe. Una spiegazione di questo basso coinvolgimento è da attribuire all’età mediamente più giovane degli stranieri. Resta però la necessità di interrogarsi sulla diffusione del contagio (anche in forma asintomatica) fra le centinaia di migliaia di donne straniere che operano come assistenti familiari presso i nuclei degli anziani, in condizioni di stretta prossimità fisica. Rimane infine completamente inesplorato il tema della diffusione del contagio (e della mortalità) fra le centinaia di migliaia di persone, in prevalenza straniere, non iscritte in nessuna anagrafe comunale e quindi non coinvolte in queste prime rilevazioni ufficiali della mortalità.
Assicurare tempestività e continuità nel tempo a queste analisi della mortalità differenziale
L’analisi della mortalità differenziale può giocare un ruolo di grande importanza nella stima degli effetti di letalità da attribuire in modo esclusivo o prevalente al Covid-19. Bisognerà quindi assicurare anche nei prossimi mesi continuità temporale e tempestività a questa fonte di conoscenza. Potremmo così identificare, sempre articolato per territori, classi di età e sesso (e successivamente per condizioni sociali), il valore che costituisce il numeratore del rapporto che misura il rischio di letalità a seguito del contagio e che dovrebbe vedere naturalmente al denominatore una stima attendibile delle persone contagiate dal virus (compresi gli asintomatici e i paucisintomatici).
Si è finalmente compreso che questa stima attendibile può venire fornita in tempi reali da una rilevazione campionaria di adeguata ampiezza e frequenza, che coinvolga in test sierologici in ogni regione un numero di persone sufficiente per realizzare stime affidabili. Per i caratteri di questa rilevazione campionaria dinamica si rinvia alla proposta di lavoro pubblicata in data 29 marzo sul sito del Forum Disuguaglianze e Diversità, che prevedeva appunto l’integrazione della rilevazione a campione con l’indagine sulla mortalità differenziale e con altri dati di natura sanitaria e comportamentale già disponibili in diverse banche dati pubbliche o private.
Il presidente dell’Istat e lo stesso ministro della Salute hanno nei giorni scorsi annunciato l’avvio di un’indagine campionaria, che ci auguriamo basata su un campione dinamico, con test ripetuti sugli stessi soggetti, che svolga una funzione di “sentinella” e non solo una fotografia finalizzata a aperture selettive.
I compiti della statistica ufficiale in questa difficile fase della vita del paese
Costruire stime attendibili della mortalità differenziale dovuta al Covid-19, continuamente aggiornate e articolate secondo le variabili più importanti. Stimare attraverso una rilevazione campionaria dinamica la reale diffusione e i rischi di letalità del contagio e seguire la loro evoluzione nel tempo, per verificare l’efficacia delle misure di distanziamento sociale e la possibilità di una loro cauta e progressiva attenuazione e differenziazione. Contribuire a identificare in chiave statistica le catene del contagio, non solo nei luoghi dove permane la vita sociale ma anche all’interno dei nuclei familiari e fra nuclei familiari legati da rapporti di parentela, amicizia o mutua assistenza. Sono questi in sintesi i compiti che la statistica ufficiale deve assolvere, per contribuire a migliorare la conoscenza degli effetti in termini di salute pubblica e individuale del virus Sars-Cov-2 e della correlata patologia Covid-19. Resta infine da esplorare e praticare la preziosa opportunità di utilizzare la rilevazione campionaria di cui si è parlato in precedenza per valutare nel medio periodo, una volta superata la fase dell’emergenza e in sinergia con le altre fonti statistiche disponibili, i differenziati effetti di questa drammatica congiuntura sulla condizione sociale ed economica della popolazione e sullo stato di salute fisica e psichica delle persone.
In altri termini dovrebbe essere implementato un sistema informativo che leghi obiettivi e fonti di informazione, sviluppi nuove fonti prendendo anche in considerazione i Big data prodotti da compagnie private e renda tale patrimonio informativo disponibile e accessibile salvaguardando le esigenze di privacy.
La statistica ufficiale è una garanzia del processo di certificazione, ma non può essere autosufficiente. Questa epidemia, che non è risolta e non sarà l’ultima, deve rappresentare un punto di svolta della statistica pubblica, che deve avere accesso anche a dati detenuti da privati, seppure non certificati.
Dopo lo shock del Covid-19, salute e assicurazioni rischiano ancor più di essere un grande business privato trainato dai dati sul lato dell’offerta e spinto dalla possibilità di spendere sul lato della domanda. Per la sanità privata e le assicurazioni il ricorso ai Big data e a sistemi di Intelligenza artificiale consente di stimare con efficacia le correlazioni di rischio con pattern comportamentali prevedibili (ad esempio la mobilità e le attività fisiche) e meno prevedibili (ad esempio le modalità di consumo).
Così come ha fatto nei mesi scorsi, il Forum Diseguaglianze e Diversità insiste nella richiesta di un accesso pubblico a dati oggi nelle mani di imprese private, in particolare dei principali operatori internet Over the Top.
Spetta alle Autorità per le comunicazioni, la privacy e l’antitrust di definire e imporre un uso proporzionato e finalizzato al pubblico interesse, in particolare per i dati classificabili come non personali. Esistono già software che consentono di accedere ai database privati solo nella misura necessaria e sufficiente per rispondere a domande di interesse pubblico.
A nostro avviso, anche a normativa vigente le Autorità hanno questa competenza. Agcom e Privacy peraltro sono in regime di proroga sine die, situazione che può essere utilizzata dal Parlamento per chiarirne i poteri nei confronti dei grandi operatori internet che peraltro stanno ulteriormente guadagnando valore nella crisi attuale.