Con il richiamo alla pace ed al disarmo, ribadiamo l’urgenza di intervenire a sostegno della giustizia sociale e ambientale contro le politiche neoliberiste, l’ordine economico attuale e il sistema simbolico patriarcale che ancora plasmano il mondo e stanno mostrando i loro limiti e l’insostenibilità per il futuro dell’intero pianeta. Servono politiche di genere che lavorino sulle interconnessioni tra lavoro, salute, welfare, contrasto alla violenza ed integrare interventi nei diversi ambiti a partire da un grande investimento nelle infrastrutture sociali. E come è avvenuto per tutte le conquiste delle donne, in Italia e nel mondo, i movimenti femministi giocano un ruolo fondamentale per chiudere il divario di genere e spostare un po’ più in là l’asticella del possibile per tutte e per la società nella sua interezza
Viviamo giorni di grandi cambiamenti, sentiamo vacillare il nostro privilegiato modo di vivere, le nostre certezze già messe a dura prova dal Covid-19, i nostri orizzonti e le nostre energie, riflessioni, analisi sono per la maggior parte sequestrate, al pari delle nostre emozioni, dalla guerra in Ucraina.
In questo quadro un nostro pensiero sull’8 marzo rappresenta l’occasione per ribadire, con il richiamo alla pace ed al disarmo, l’urgenza di intervenire a sostegno della giustizia sociale e ambientale contro le politiche neoliberiste, l’ordine economico attuale e il sistema simbolico patriarcale che ancora plasmano il mondo e stanno mostrando i loro limiti e l’insostenibilità per il futuro dell’intero pianeta.
Lo scenario di guerra ci pone di fronte, ancora una volta, il protagonismo delle donne: dalla forza delle ucraine (in Italia una comunità molto numerosa, 175 mila, l’80% della popolazione ucraina residente nel nostro paese) che non stanno esitando ad organizzare la loro resistenza anche scendendo in strada a combattere, che per mettersi in salvo dalle bombe fuggono da sole rischiando di subire violenza, che chiedono corridoi umanitari non solo per evacuare civili inermi ma per rimpatriare le salme dei ragazzi russi morti, per restituirli alle loro madri e consentire di potere avere un luogo dove piangerli, al coraggio delle femministe russe del movimento “Feminist anti war resistance” che scendono in piazza in tutte le città sfidando il regime di Putin.
Sono donne le rappresentanti dell’Unione Europea: Ursula von der Leyen è presidente della Commissione, Roberta Metsola la presidente del Parlamento. Sono ampliamente riconosciuti nei sistemi normativi della maggior parte dei paese occidentali i diritti delle donne. L’equità di genere è uno dei goal dell’Agenda 2030 ed uno degli obiettivi trasversali del Next Generation Eu.
Certo però, non possiamo, partendo da noi, dal nostro sentire dissonante, dalla nostra consapevolezza, non registrare una situazione a due velocità, quella in cui il patriarcato è “al tempo stesso sotto assedio e al potere”, per riprendere un’espressione da “Perché il patriarcato persiste” di Carol Gilligan recensito su Ingenere. Non possiamo in altre parole non rappresentare una grande contraddizione in corso e svelare la trappola della narrazione di una parità ormai raggiunta, di un sentire comune che parrebbe diffuso, a fronte di una realtà molto diversa dove le grandi disuguaglianze di genere sono state accentuate dalla pandemia e sono ancora tutte lì.
Occupate: poche e solo in alcuni settori
Secondo quanto riportato nel Bilancio di genere per l’esercizio finanziario 2020 della Ragioneria Generale dello Stato, presentato a fine 2021, “il tasso di occupazione femminile nel 2020 è sceso al 49 per cento (quando per la prima volta nel 2019 aveva superato il 50 per cento) mentre il divario rispetto a quello maschile è salito a 18,2 punti percentuali (contro il 17,9 del 2019)”. Tra le lavoratrici “quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario se vogliono lavorare, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni”. L’occupazione femminile è particolarmente bassa nel Sud Italia (32,2%) e nelle isole (33,2%): un dato particolarmente grave perché tra le 5 Regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono del Mezzogiorno d’Italia.
Tante sono le donne che un lavoro non lo cercano. Scrive Barbara Martini su La Voce che “i dati evidenziano che il tasso di inattività per le donne, in tutte le classi di età a eccezione di quella 55-64, è nettamente superiore a quello degli uomini a parità di istruzione”, e, riportando le motivazioni dell’inattività esplorate dalle indagini sulla forza lavoro dell’Istat, ricorda che “il 17 per cento del totale degli inattivi per la classe 15-64 anni dichiara di esserlo per motivi familiari; il 95 per cento di queste persone sono donne”.
I dati evidenziano anche una segregazione orizzontale delle donne in alcuni settori. Tante le donne che lavorano nel settore sanitario, nei servizi, nel commercio, settori che in questi anni di pandemia sono stati fortemente esposti al contagio. Nell’ultimo Rapporto dell’ANMIL “Diritti delle donne lavoratrici, rischi infortunistici e tutela del lavoro” scopriamo che “dai dati elaborati dall’Inail, con riferimento al consuntivo 2020-2021, si rileva che nel biennio sono stati denunciati complessivamente circa 191.000 infortuni da infezione da Covid in ambito lavorativo; di questi ben 130.000, pari al 68,3% del totale, hanno colpito la componente femminile”.
Specularmente solo il 16% delle laureate ha studiato materie STEM (acronimo di science, technology, engineering and mathematics) e le donne occupate in ambiti tecnico scientifici sono il 15,6% (in Europa il 22,1%). Gli studi dicono che a partire dai 6 anni si crea un gap tra bambini e bambine perchè queste ultime vengono scoraggiate dal seguire la loro passione per le materie scientifiche. Questo genera un divario di competenze in matematica tra ragazzi e ragazze di 15 anni tra i più alti in area OCSE, 16 punti di differenza, contro una media di 5, secondo l’ultimo rapporto UNESCO. Nello speciale sulle disuguaglianze che il ForumDD ha realizzato con l’Espresso nell’ultimo numero del 2021, Francesca Bria ricordava il “rapporto stonato tra scienza, tecnologia e pari opportunità” e che “è necessario far capire che se metà del mondo non va avanti, allora l’intera umanità si ferma”. Non un problema solo italiano, ma come al solito l’Italia registra dati peggiori rispetto a molti paesi.
La cura e il welfare che non c’è
In generale per le donne, ma in particolare per le donne con figli, permangono difficoltà nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro e ricatti connessi alle scelte riproduttive, limiti nelle opportunità e nella carriera, scarsa presenza nei luoghi decisionali. Il ritmo degli avanzamenti è lento, ed è stato stimato che ci vorranno ancora 150 anni per raggiungere l’uguaglianza di genere.
Una molteplicità di fattori culturali ancorché strutturali bloccano l’uguaglianza e il fattore che gioca il ruolo più importante è l’iniqua quanto scontata distribuzione dei compiti di cura. Secondo un Rapporto di Senior Italia FederAnziani il 71% dei careviger familiari è donna, in “una linea di continuità fra il ruolo di madre come principale deputata alla cura dei figli, ancora prevalente nel nostro paese, con quello di ‘accudimento tout court’ per tutto l’arco della vita”.
Siamo ancora ad inseguire a quasi venti anni dagli obiettivi di Lisbona il numero di 33% di copertura dei nidi e, come avevamo rilevato mesi fa, le misure poste in campo con il PNRR si mostrano inadeguate: verifichiamo che le regioni del sud non riescono a programmare e si rischiano di lasciare non utilizzati percentuali significative dei fondi resi disponibili.
Violenza: la “pandemia ombra”
Infine la violenza. Se il 2020, anno di misure dure anti-Covid e di restrizioni alla mobilità, aveva fatto registrare in tutto il mondo un forte aumento della violenza contro le donne tanto che le Nazioni Unite avevano denominato il fenomeno “shadow pandemic”, pandemia ombra, nel 2021 le cose non sono migliorate. Il nostro è un paese nel quale si continua a morire per liberarsi da relazioni violente: nel 2021 sono stati 116 i femminicidi e i primi mesi di quest’anno non presentano una flessione delle violenza maschile contro le donne nelle sue molteplici manifestazioni, persistono stereotipi culturali e una generale inadeguatezza delle risposte istituzionali nel contrastare la vittimizzazione secondaria e l’emersione del sommerso.
Lavoro, salute, welfare, contrasto alla violenza sono tutti ambiti interdipendenti sui cui costruire politiche interconnesse per modificare in modo permanente e radicale la qualità di vita delle donne. La via dei diritti è la base per un mondo più equo: il diritto alle pari opportunità, il diritto ad essere liberi da discriminazioni, violenza e molestie, e alla parità di retribuzione e il raggiungimento dell’uguaglianza di genere richiedono azioni e cambiamenti di politiche in una serie di aree.
Le politiche di genere non possono che lavorare su queste interconnessioni ed integrare interventi nei diversi ambiti a partire da un grande investimento nelle infrastrutture sociali, nella rete dei servizi per rispondere ai bisogni, contrastare le disuguaglianze e rimuovere uno dei vincoli principali nella vita delle donne e per trasformare parte del lavoro di cura non retribuito in occupazione qualificata.
Un futuro più attento alla cura produrrà maggiore occupazione. Un futuro di lavoro in cui tutti possano avere più a cuore il lavoro di cura. L’OIL indica che il raddoppio degli investimenti nell’economia della cura entro il 2030 porterebbe alla creazione di 28 milioni di nuovi posti di lavoro in Europa di cui 1,4 milioni nel nostro paese.
Come è avvenuto per tutte le conquiste delle donne, in Italia e nel mondo, i movimenti femministi giocano un ruolo fondamentale per chiudere il divario di genere e spostare un po’ più in là l’asticella del possibile per tutte e per la società nella sua interezza. Anche quest’anno per l’8 marzo il Movimento Non una di Meno lancia il suo sciopero mettendo in fila le tante istanze che si incrociano e che abbiamo in parte ripreso in questo post. Il femminismo è ancora oggi un pensiero politico radicale che mette in discussione dalle fondamenta il modo in cui è articolata la società, e si intreccia con la lotta per la transizione ecologica e per la giustizia sociale. Un movimento estremamente importante per trasformare numeri e analisi in politiche, per non dimenticare di prestare molta attenzione allo spazio simbolico e culturale, per continuare a contaminare con una prospettiva intersezionale i luoghi di pensiero e azione e per continuare a costruire la speranza che in questi giorni non può che esprimersi con le parole delle femministe russe: “Siamo l’opposizione alla guerra, al patriarcato, all’autoritarismo e al militarismo. Siamo il futuro che prevarrà”.